Cos’è successo a Messina nel 2020? Cronaca di un anno fuori dall’ordinario

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Il coronavirus a Messina

Via il dente, via il dolore. Il primo evento di cui dobbiamo necessariamente parlare, per ovvie ragioni, è la diffusione del coronavirus. Lo scorso anno, di questo periodo, in tv e sui giornali si parlava con apprensione di un virus misterioso che tanto stava spaventando l’allora sconosciuta Wuhan, in Cina. Dopo un paio di mesi, quello stesso virus, ormai noto come Covid-19, o Coronavirus, si è diffuso sempre di più in Europa e in Occidente, colpendo per prima e in maniera più invasiva l’Italia. L’Italia ha reagito come meglio ha potuto, guadagnandosi l’approvazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e l’11 marzo 2020 tutto il Paese è entrato in lockdown (anche se allora si parlava ancora di “quarantena”).

A Messina il coronavirus è arrivato di soppiatto. Dopo un primo falso allarme a febbraio, mentre in città sfilavano i carri di Carnevale, e qualche caso isolato in provincia, il covid-19 si è intrufolato nelle case di riposo colpendo proprio quelle persone che oggi chiamiamo sempre più spesso – e non più solo tra le pagine dei giornali o negli studi medici, ma anche nelle conversazioni quotidiane – “soggetti fragili”. Ciò che è successo dopo è noto a tutti, non serve ricordalo, non del tutto almeno: le strade vuote, le canzoni intonate ai balconi, le promesse di un mondo migliore “dopo”. Tutto infranto non appena la politica (soprattutto a livello nazionale) ha capito che sulla malattia e sul dolore si poteva ricavare consenso elettorale. E allora sono nati i “no-mask”, ci si è divisi in fazioni, i medici da eroi sono stati da troppe persone dimenticati, così come quel sentimento che inizialmente aveva unito il Paese intero.

E l’epidemia – in pochissimo tempo, quasi una frazione di secondo – è diventata anche economica, a dimostrazione di un sistema che, si può pacificamente ammettere, non funziona e forse non ha mai funzionato realmente. A Messina, come nel resto d’Italia, molte attività non ce l’hanno fatta, hanno dovuto abbassare le saracinesche per non rialzarle più. La nostra Alessandra Mammoliti ci ha accompagnato a prendere un’ultima birra dal Signor Pippo, simbolo oggi di tutti quei commercianti, ristoratori e imprenditori – troppi – che hanno dovuto chiudere o che vivono tuttora con una spada di Damocle sulla testa.

Se su questo fronte, il coronavirus a Messina è stato grossomodo uguale al coronavirus a Caserta o a Perugia o in qualsiasi altra città d’Italia, c’è qualcosa su cui ci siamo, per così dire, distinti: lo scalpore mediatico che hanno suscitato le azioni e i comportamenti del nostro sindaco, Cateno De Luca, che hanno varcato lo Stretto attirando l’attenzione, prima di tutto delle televisioni, da Barbara D’Urso a Massimo Giletti – facciamo un respiro profondo –, e secondariamente (ripetiamo, secondariamente) della politica a livello nazionale. Un fatto su tutti: il Primo Cittadino – durante un pre-annunciatissimo blitz alla Rada San Francesco, mirato a bloccare l’accesso alla Sicilia a chi in un lungo “viaggio della speranza” tentava di rientrare da un Nord Italia messo in ginocchio dall’epidemia – si è guadagnato una denuncia per vilipendio a causa delle sue affermazioni contro il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.

Di lì in avanti è stato tutto un susseguirsi di dirette Facebook e ordinanze, spesso illegittime e conseguentemente annullate, che se non altro hanno avuto il merito di tenere le menti dei messinesi tutti impegnate nel tentativo di capire quali fossero le regole effettivamente in vigore e quali no. Dalle auto con megafono, ai droni che riproducevano la voce del sindaco Cateno De Luca nell’ormai celebre “Dove vai? Torna a casa”, agli appostamenti agli approdi dei traghetti, per concludere con le dirette dal Coc (il centro operativo della Protezione Civile), la prima ondata è passata. Messina è riuscita a difendersi, come buona parte del Sud Italia, le regole di contenimento del coronavirus sono state in linea di massima rispettate e il numero di casi è rimasto limitato, quantomeno se lo si confronta con quello di altre realtà più o meno vicine. A colpire, tra maggio e settembre, la lunga assenza del Sindaco Cateno De Luca, passato dall’auto-sovraesposizione mediatica dei mesi di lockdown al ritiro a Fiumedinisi.

Sebbene l’estate sia stata bene o male “indolore”, almeno a livello generale, il coronavirus ha continuato a circolare, portando all’inizio della seconda ondata, coincidente più o meno con l’autunno, e tuttora in corso. La Sicilia è diventata zona arancione, mentre a Messina, per qualche giorno, sono state in vigore regole ad hoc fissate da un’ulteriore ordinanza sindacale. I fatti sono recenti, non indugiamo oltre e rimandiamo alla cronaca recente per chi avesse voglia di rinfrescarsi la memoria. Adesso l’Italia tutta è in un balletto di colori, tra rosso e arancione, e lo sarà ancora per qualche giorno. Il Primo Cittadino ha “acceso il Natale” con una passerella che forse sarebbe stato meglio evitare, ha ripreso in mano la zampogna, ha riaperto le domande per i sostegni economici alle famiglie e alle imprese che oggi versano in maggiore difficoltà.

Cosa succederà adesso, si vedrà, intanto questo è il quadro, sommario per ovvie ragioni di tempo e spazio di cosa è stato – finora – il coronavirus a Messina.

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