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Messina vicina al crack finanziario. Ecco cosa accadrebbe in caso di dissesto

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Negli ultimi giorni a Palazzo Zanca è tornato ad aggirarsi il fantasma del default. L’amministrazione comunale, infatti, rischia seriamente il crack finanziario e la possibilità che Accorinti accantoni definitivamente l’ipotesi del piano di riequilibrio, elemento fondante del proprio programma elettorale, è sempre più concreta. L’assessore al Bilancio Luca Eller ha spiegato senza giri di parole la difficile situazione economica della città. Risulta addirittura impossibile riuscire a quantificare con esattezza il debito pregresso da cui Palazzo Zanca non riesce ad uscire. Le passività si aggirano tra i 50 e i 100 milioni di euro, una cifra enorme a cui risulta complicato far fronte.

Il dissesto, quindi, torna ad essere una valida alternativa per invertire la tendenza e iniziare un lento e faticoso cammino verso la normalità. Lo stesso Eller ha preso in considerazione tale possibilità, considerando che il fondo del barile è stato ormai raschiato da tempo.

Ma cosa accadrebbe se l’amministrazione alzasse definitivamente bandiera bianca, aprendo le porte al default? Secondo l’articolo  244 del testo Unico 267 del 2000 si ha dissesto finanziario quando il Comune non è più in grado di assolvere alle funzioni ed ai servizi indispensabili oppure quando nei confronti dell’ente esistono crediti di terzi ai quali non si riesce a far fronte con il mezzo ordinario del ripristino del riequilibrio di bilancio né con lo strumento del debito fuori bilancio.

Una volta dichiarato il dissesto da parte del Consiglio comunale, l’amministrazione verrebbe affiancata da una specifica commissione nominata dal ministero degli Interni per redigere un piano di estinzione con il quale si azzerano le condizioni precedenti che hanno portato al fallimento.  Non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione.

Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per  l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, o la stessa benché proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. I pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l’ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e le finalità di legge.

L’Ente dissestato è tenuto ad approvare un nuovo bilancio, elevando al massimo le entrate con l’inevitabile inasprimento delle imposte comunali fino al tetto massimo garantito dalla legge. Parallelamente occorrerà ridurre le spese secondo una procedura che potrebbe provocare tagli al personale in esubero che verrebbe messo in mobilità Il Comune dovrà, inoltre, contribuire all’onere della liquidazione in particolare con l’alienazione del patrimonio disponibile non strettamente necessario all’esercizio delle funzioni istituzionali, la destinazione degli avanzi di amministrazione dei cinque anni a partire da quello del dissesto e delle entrate straordinarie, la contrazione di un mutuo a carico del proprio bilancio.

Successivamente, coloro che sono ritenuti i responsabili dalla Corte dei Conti, in base ad una retroattività di cinque anni,  di aver provocato il dissesto verrebbero inibiti dal ricoprire cariche istituzionali per dieci anni. Sindaci e i presidenti di provincia ritenuti colpevoli non sarebbero candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo.

Andrea Castorina

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