I neolaureati dell’Università di Messina hanno lo stipendio più basso d’Italia. A dirlo è lo “University Report 2017“, statistica che realizza una graduatoria dei RAL (Reddito Annuale Lordo) e degli scatti di carriera, con relativo incremento di stipendio, in funzione dell’università di provenienza.
Questa ricerca, realizzata dall’azienda Job Pricing, si è avvalsa di 84mila profili di lavoratori laureati raccolti fra il 2015 e il 2016 (di cui 52mila hanno fornito l’università di provenienza) e ha messo a paragone 40 Atenei italiani, pubblici e privati.
Lo scopo, in parole povere, è capire quale titolo di studio “vale di più”, non dal punto di vista della preparazione, sia chiaro, ma sul fronte della retribuzione media e, quindi, dello stipendio.
L’Università di Messina non riesce, purtroppo, a distinguersi in questa classifica e si colloca all’ultimo posto per reddito iniziale: secondo lo “University Report” chi studia nella città dello Stretto, al suo primo impiego, guadagnerà molto meno degli studenti di altri atenei.
In media, secondo le informazioni di questo studio, un laureato fra i 25 e i 34 anni, in Italia, guadagna €30.116/anno lordi. Ai due estremi di questa media nazionale abbiamo, in basso, Messina (€27.880/anno) e Cagliari (€28.054/anno) e, in alto, l’Università Bocconi di Milano (€35.094/anno) e il Politecnico di Milano (€33.047/anno).
Non solo brutte notizie per l’Università di Messina
La situazione per l’Università di Messina, fortunatamente, migliora se si guarda alla retribuzione nel corso della carriera lavorativa e, in particolare, all’incremento che si registra fra il primo impiego e la maturità professionale (45-54 anni). Messina, in questo caso, occupa il 26esimo posto e garantisce, in media, un incremento di stipendio fino al 64 % (€45.665/anno lordi). Al primo posto troviamo le università private LUISS (99%) e “Bocconi” (93%) mentre, in coda alla graduatoria, si ritrovano Catania (52%) e Roma Tre (43%).
Lo “University Report 2017” fornisce, poi, una classifica degli inquadramenti lavorativi dei laureati durante la propria carriera. In questo caso l’Università di Messina riesce a collocarsi, più o meno, a a metà graduatoria (22esima su 40), dove l’8% degli intervistati occupa una posizione dirigenziale, il 25% dispone di un contratto “Quadro” e il restante 67% è “semplicemente” impiegato. Una graduatoria, questa, che penalizza le università pubbliche di “Roma Tre” e ”Milano Bicocca”.
Il 64% dei laureati “vola” al nord
Altro dato che emerge dallo “University Report 2017” è l’elevato tasso di emigrazione degli studenti con alto livello di formazione: secondo lo studio il 64% dei laureati in un’università del Sud lascia la propria terra per cercare lavoro al nord. Di questi il 21% si sposta nell’Italia centrale e il 43% nell’Italia del nord.
Fra tutti è, probabilmente, questo il dato che dovrebbe preoccupare di più: le università del Sud formano talenti e laureati “interessanti” per il mondo del lavoro che, purtroppo, le aziende del territorio non sempre sono in grado di impiegare.
Nota: lo studio si riferisce unicamente a retribuzione e impiego di lavoratori dipendenti, rimangono fuori dalla graduatoria i liberi professionisti con partita IVA.
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