MessinAccomuna punta nuovamente l’attenzione sull’aumento della Tari e sul Piano tariffario dei rifiuti 2021 presentato dall’Amministrazione De Luca e attacca l’assessore al ramo: «Ma davvero – scrive in una nota il laboratorio di partecipazione civica – Dafne Musolino ritiene che la carica di assessore serva a prendere in giro la città?».
Perché quest’affermazione? In soldoni, MessinAccomuna accusa l’assessore Musolino (e il sindaco Cateno De Luca) di voler far credere che l’aumento della Tari derivi dai costi delle vecchie discariche, mentre in realtà, secondo loro, la radice sarebbe un’altra. Vale a dire, il bisogno di far entrare più risorse nelle tasche di MessinaServizi Bene Comune (MSBC) perché tra gennaio e luglio la Società non avrebbe rispettato il PEF vigente e avrebbe speso 6,6 milioni di euro in più.
«Dopo la tabellina che smentiva la favoletta del rincaro TARI dovuto al “Fondo Crediti di Dubbia Esigibilità” – scrive MessinAccomuna –, la Musolino tira in ballo “i costi delle vecchie discariche”. Ma ci è o ci fa? Proponiamo all’assessora, a un bambino di terza elementare e ai cittadini di Messina un facilissimo esercizio: “Il rincaro della TARI è di 6 milioni, i soldi da dare in più a Messina Servizi sono 6,5 milioni, il costo delle discariche è di 1,3 milioni. Quale voce incide di più sul rincaro della TARI?” La risposta è così ovvia che non è necessario scriverla. Se Musolino fa l’assessora come fa di conto, si dimetta o venga sfiduciata! Se – aggiunge –, mantenendo il costo delle discariche, non aumentasse l’assegno staccato a MSBC, la TARI si ridurrebbe di 4,7 milioni. È inutile che la Musolino provi a nascondere il sole con le mani: l’aumento della TARI, contrariamente a quanto il sindaco (in atti) e lei (in Consiglio) cercano di far credere alla città, è dovuto all’aumento che loro vogliono per MSBC».
Secondo MessinAccomuna, come si anticipava, la motivazione per cui servono più risorse deriverebbe dalle spese fatte dalla Società tra gennaio e luglio. Per avvalorare la propria tesi, il laboratorio cita alcune affermazioni dell’Amministrazione: «Dichiarano Musolino e Lombardo (comunicato n. 854 del 31 luglio u.s.): “la bocciatura del Piano Tariffario [determina] l’impossibilità di sostenere la spesa attuale”. In assemblea il sindaco richiama la Società a “spendere esattamente l’equivalente del corrispettivo” e invita la Società “ad adottare ogni provvedimento necessario per rimodulare la spesa contenendola entro il limite del corrispettivo dell’anno 2020”. È una confessione. Tra gennaio e luglio MessinaServizi non ha rispettato il PEF vigente e ha speso contando su 6,6 milioni in più. Adesso c’è uno squilibrio finanziario e, di riffa o di raffa, bisogna trovare questi soldini! Visto che la “riffa” della determina (nulla) è troppo incerta, l’assemblea sociale ricorre ai soldi dello Stato, annunciando “un impatto sulla spesa del personale”, tra cui: “…la cassa integrazione a rotazione per circa 120 dipendenti della Messinaservizi”».
La questione della cassa integrazione per i dipendenti di MessinaServizi
A questo punto, MessinAccomuna ricorda la nota con cui MessinaServizi Bene Comune ha comunicato alle organizzazioni sindacali la cassa integrazione per i dipendenti della Società a seguito della bocciatura in Consiglio Comunale della delibera di presa d’atto della determina sindacale con cui il sindaco Cateno De Luca ha riproposto il piano Tari: «La cassa integrazione – sottolinea il Laboratorio –, però, presuppone crisi aziendali dovute a fluttuazioni di mercato. Ecco allora la “raffa” del ricorso al “Fondo Integrazione Stipendi” (FIS) per il covid. L’Azienda comunica alle Organizzazioni Sindacali: “La Società si trova ad affrontare una imprevedibile crisi, imputabile all’emergenza epidemiologica da COVID-19, con conseguente inderogabile necessità di ridurre e/o sospendere l’attività lavorativa del proprio personale”».
«L’incongruenza è palese – aggiunge il Laboratorio. Il 31 luglio gli ammortizzatori sociali erano invocati per la bocciatura della Tari; il 9 agosto si parla invece di “eventi riconducibili al covid”. A meno che la delibera sia stata bocciata a causa dell’epidemia, il COVID non c’entra niente con la crisi aziendale. Peraltro nel 2020, in pieno lockdown e in “zona rossa permanente”, MSBC non ha avuto necessità di ricorrere al FIS (Fondo di integrazione salariale, ndr). La stessa azienda aveva dichiarato di aver attivato tutte le più efficaci azioni di tutela della salute di lavoratori (smart working) e utenza (il servizio è svolto all’aperto, senza contatti ravvicinati, con “squadre” di 2 o 3 addetti). Nulla motiva il ricorso al FIS che, non a caso, non è richiesto per le altre aziende partecipate. La richiesta ha l’aria di una “furbata” per porre a carico dello Stato lo squilibrio finanziario dell’azienda; così fosse, si chiamerebbe “danno erariale”. Non a caso i sindacati rifiutano unanimemente di avallare l’operazione».
«Ma un altro aspetto interessa i messinesi – conclude MessinAccomuna. Con 120 lavoratori in meno (40 per turno di rotazione del FIS), quali servizi (a parità di budget) verranno ridotti? E se, i servizi garantiti con 40 lavoratori in meno, a cosa servono 130 lavoratori in più? Siamo tornati all’era delle assunzioni “elettorali” pagate dai cittadini?».
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