La vera felicità costa poco: se è cara, non è di buona qualità.
François-René de Chateaubriand
Il fuoco del camino brillava di una fiamma viva. Noi seduti sul divano, con solo una piccola abatjour a rischiarare la stanza, ci facevamo, dolcemente, ammaliare dal fascino del suo riverbero, inseguendo, con lo sguardo, le fiamme cangianti. La fioca luce della lampada lasciava invadere la stanza dal rossore del fuoco, facendola divenire più accogliente del solito. Stappata la bottiglia del suo Faro d.o.c. 2009, il mio ospite, Claudio Barbera, cominciò a raccontare.
Arrivò dalla Sicilia con le sue bottiglie di vino in quell’isola caraibica, pieno di speranze.
Con profonda dedizione al suo vino, si presentò al cospetto dei ristoratori di Cuba nelle loro “Paladare”, una sorta di trattorie locali. Non è tipo da albergo e trovò riparo in una casa, per respirare meglio la loro vita.
All’Avana, bellissima e ospitale, i paesaggi, i sorrisi e gli occhi della gente, brillavano di una luce rara.
Parlò, con suo spagnolo stentato, i gesti e gli sguardi, che da buon siciliano, fanno capire tutto. Poi, con teatralità consumata, fece assaggiare il suo vino e li vide disorientati dalla profondità dei profumi e dall’articolazione del gusto. Il suo vino piaceva. Sorrise soddisfatto quell’ingegnere elettronico cinquantino, che ama definirsi un contadino. Messinese nell’animo. Il suo Faro d.o.c., Fondo dei Barbera, è per lui un figlio, l’unico maschio. Le sue adorate figlie lo sanno e trattano la cosa con la rara tenerezza che le donne hanno spesso per le piccole debolezze dei padri.
In quei giorni girò per i ristoranti e di sera, stanco, si rintanò nella “Casa della musica” del porto turistico, vicino Marina di Hemingway. In compagnia di qualche moijto ascoltò quelle loro musiche che ti riempiono l’anima. In quei pochi giorni creò qualche contatto commerciale, poi partì per
Già dal primo semaforo rimase affascinato dagli allegri e colorati giocolieri che, al posto dei nostri lavavetri, chiedono l’elemosina. Nel Sudamerica anche i più poveri tra i poveri, dovendosi inventare un lavoro, non perdono il buon umore, felici anche solo di essere vivi. Gli dissi che mi ricordava il pensiero di Jigme Singye Wangchuck re del Bhutan che negli anni settanta lasciò senza parole l’intera ONU parlando di “Felicità Interna Lorda” da sostituire al “Prodotto Interno Lordo”, ovviamente, mutatis mutandis.
Così, incontrò degli importatori, con cui discusse di accise, tasse e autorizzazioni.
E tra un appuntamento ed un altro venne invitato ad una festa da uno di questi. Alla sera, entrò in una strada, dentro un Baglio, chiusa al traffico con mezzi di fortuna e illegalmente, per festeggiare la figlia che compiva quindici anni. La loro maggiore età. Il padre, senza lasciarla un minuto con lo sguardo, aveva acconsentito a farla ballare con sette ragazzi e sette ragazze per consegnarla alla società. Affascinato da quella felicità nelle privazioni era andato a riposare: l’indomani lo aspettava un importante appuntamento. Sperava di incontrare Paco, proprietario della “ Cava de Paco”, si era fatta l’idea che ne avrebbe avuto modo di conoscere un personaggio particolare. Paco, vestito bianco di lino e panama in testa, lo aspettava curioso. Claudio parlo con lui della sua Sicilia, del suo vigneto, e stappò. Con attenzione, Paco ascoltò, il rosso rubino nel bicchiere, si fece trasportare in Sicilia dai profumi di frutta rossa. Claudio gli disse di aspettare, poi coi suoi gesti gli chiese di riavvicinare il bicchiere al naso. Paco, curioso e divertito, assecondò i voleri del suo ospite. Nuovi profumi di violetta, spezie e cannella gli si presentarono al naso. E bevve, l’alcool e la fresca sapidità del vino ricordavano il mare di Sicilia, ma lui non poteva saperlo. Gli sterminati oceani sono altro rispetto al nostro accogliente Mediterraneo. Capì che aveva fatto un viaggio di migliaia di chilometri in un bicchiere e con un’ esagerazione aulica tutta sudamericana disse:
“Grazie, posso morire domani, perché mi hai fatto toccare il cielo con un dito”.
Claudio sorrise. Oramai aveva imparato i modi colombiani, ma aveva anche imparato che il suo vino anche fuori dal suo territorio poteva piacere. Qualche giorno dopo, in Sicilia, ripensando al viaggio, capì che quel popolo, a cui un condominio di Milano avrebbe fatto l’impressione di un cimitero, viveva di una vera felicità che costava poco ma ti riempiva la vita.
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