Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tutt’ al più è stato complice della sua irrequietezza.

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Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tutt’ al più è stato complice della sua irrequietezza. Joseph Conrad

La barca solcava, lenta, i flutti. Il frascheggio  ritmico dell’acqua sullo scafo accompagnava i nostri rilassati silenzi. All’orizzonte, cupi nembi,  carichi di pioggia, non riuscivano a nascondere un intenso e toccante tramonto. Di lì a poco, il tempo sarebbe cambiato. Il timoniere virò lesto, si tornava a casa.

Adoro le uscite in barca fuori stagione, i maglioni marinari fatti con quella trama dura per non fare passare le brezze, mentre respiri l’aria fredda e salmastra, lo sguardo che si perde in un cielo in cui si riescono  a delineare le varie  perturbazioni. I colori delle nuvole che, secondo il carico di pioggia, variano dal bianco al grigio scurissimo e gli azzurri ed i verdi del mare, cangianti, anch’essi al  cambiare delle nuvole.

D’estate è diverso. I colori hanno una tempera leggera e anche i profumi sono meno nervosi.

Tra noi e il tramonto,  ad ovest, già pioveva, si vedeva il segno nell’aria e il trepidare del mare sotto le gocce di pioggia.

Di lì a poco, ci aspettava un sicuro ancoraggio, e dopo una giornata passata a sfidare le onde e il vento, non dispiaceva a nessuno.

 Strano animale l’uomo: è sempre tentato, dal rompere il proprio equilibrio, anche solo, per il piacere di ricostruirlo. E noi, quel giorno, avevamo sfidato, senza un apparente motivo,  un clima incerto.

La prima stella sviò tutti dai loro pensieri.

Il modo di pensare stava cambiano, perdeva la fattività del giorno per dare spazio alle riflessioni della notte, e questo lo si percepiva nei volti.

Velocemente, come solo a ridosso del solstizio d’inverno accade, la notte requisì noi e il vespro.  D’avanti a noi, un cielo terso e stellato ci accompagnò per l’ultimo tratto e  per l’ormeggio del natante. Restammo a bordo, sereni a scrutare quel gioco di nuvole e stelle.

Scesi in cambusa e presi il vino per le ultime chiacchiere. Quando risalii, Sting cantava  “If I ever lose my faith In you” e tutti ascoltavano. Stappai e versai  cercando di evitare la vaghezza del beccheggio.

Avevo scelto un Maria Costanza delle cantine Milazzo, annata 2010. Inzolia e Chardonnay gli uvaggi, delicati  giochi di rovere e acciaio, colore giallo paglierino con riflessi verdognoli.

E mi sedetti con i miei amici. Il timoniere, vecchio lupo di mare, adorava i silenzi che , malgrado un amicizia di vecchia data, non riuscivo a decifrare. E’ uno di quegli uomini che vive di natura, ha bisogno sempre di sentire il clima su di sé.

Un giorno, in inverno, uscimmo in magliettina sotto la pioggia, insieme, in moto, per esplorare un paesaggio che lo aveva incuriosito. “I veri uomini amano la natura sulla pelle” mi disse.

 Ci ammalammo.

L’altro era un ospite, preso a prestito dalla vita sociale. Tutto da scoprire, era stato un buon compagno di quella estenuante giornata, amava le fotografie e ne aveva fatto incetta, in quel giorno pieno di contrasti di luci e colori.

I profumi del Maria Costanza spaziano dai fiori bianchi e gialli a toni di frutta tropicale, con un lieve sentore di agrumi.

“Buono” dissero quasi all’unisono. Contestai la genericità dell’aggettivo. Sorrisero.

Al primo sorso si scopre un vino equilibrato, pieno e ritornano i profumi. Mentre una importante acidità, rinfresca la bocca.

Cominciò  a piovere.

Accompagnati dalle nostre irrequietezze, complice il mare, ci allontanammo a malincuore  dalla barca.

Chissà, cosa ci avrebbe riservato la nostra serata in quell’isola.

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