la legge è uguale

Anno Giudiziario 2014. Dal “rottamatore” presidente della C.A, Fazio, al vibrante intervento della presidente sezione ANM, Maria Teresa Arena

Pubblicato il alle

13' min di lettura

la legge è uguale“Una situazione incancrenita” e “l’orizzonte è buio”. Una giustizia in crisi nella relazione del presidente della corte d’appello di Messina, Nicolò Fazio, stamani in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. “Non riusciamo, malgrado la buona volontà- ha detto – ad evadere la domanda di giustizia in tempi ragionevoli, una gravissima disfunzione, a fronte della quale chi ha la responsabilità legislativa e di governo è intervenuto con rimedi palliativi. Sono mancate le indispensabili riforme straordinarie, ed ora è emergenza in tutti i settori”. Parla di anomalie evidenti che non hanno avuto soluzione nemmeno con la miniriforma dell’anno scorso, che mirando all’economia di spese ha “pregiudicato ulteriormente la funzionalità degli uffici coinvolti, sacrificando un valore di rilievo costituzionale, che inerisce al diritto di piena cittadinanza, cioè quello della “giustizia di prossimità”. Perché abbia termine la crisi, prosegue Fazio, “si deve fronteggiare una volta per tutte l’arretrato, una zavorra di milioni di cause, da “rottamare” a qualsiasi costo”. Il presidente Fazio si è poi soffermato sulla prescrizione dei reati: “E’ urgente una riforma- afferma nella relazione – che spazzi dalle aule di giustizia tutti i reati bagatellari e ne impedisca l’afflusso. Magari un provvedimento di clemenza una tantum, meno esecrabile di una impotenza punitiva dello Stato, dichiarata giorno per giorno, in nome del popolo italiano, in uno stillicidio continuo”. Altra questione delicata è il sistema carcerario: un dramma che non può passare sotto silenzio. Un problema che deve essere risolto urgentemente anche con l’adozione di misure sostitutive, per gli illeciti di minore allarme sociale, della detenzione carceraria con la detenzione domiciliare, pur sempre notevolmente afflittiva”.

La relazione si sofferma poi sulla situazione degli uffici nel distretto messinese che non è cambiata rispetto al passato. Mancano risorse, una crisi acuita dalla carenza di piante organiche di magistrati e personale amministrativo. Il Tribunale di Messina ha scoperture del 25% mentre la procura lamenta una vacanza di più del 20%. A Barcellona Pozzo di Gotto si registrano tre vacanze e due assenze per maternità e un conseguente indice di scopertura superiore a 1/3, problemi anche a Patti e Mistretta. Carente è anche la situazione del personale amministrativo ed ausiliario. Per “turare le falle” si è fatto ricorso a applicazioni provvisorie. Una situazione afferma Fazio “destinata a precipitare, se non si provvederà con nuove assunzioni o con gli opportuni travasi di personale da altre amministrazioni che sono oggettivamente sovradotate”. Questione irrisolta resta il palazzo di giustizia satellite “la fiera delle chiacchiere, dei vaniloqui” è l’amara considerazione del presidente Fazio “una vicenda incredibile, scandalosa”. “A questo punto- afferma Fazio – sarebbe forse il caso di richiedere la nomina di un commissario straordinario ad acta che sblocchi la situazione”.

Questo l’intervento del presidente Fazio, cui hanno fatto seguito molti altri dei vari togati e degli avvocati presenti. Tra questi va segnalato quello del Presidente della Giunta Sezionale dell’Associazione Nazionale Magistrati , dottoressa Maria Teresa Arena:

“Sig. Presidente, signori tutti presenti, che onore sig. Presidente della Corte Costituzionale, mi sono chiesta quale dovesse essere il taglio da dare a questo intervento e la risposta è stata, quello che mi è più congeniale, quello della passione.
Sì, quello della passione per la funzione che svolgo e che condivido con i colleghi di questo Distretto, che con enormi sacrifici anche personali, si prodigano per dare una risposta a quella che, dati i numeri che di anno in anno registriamo, è l’imponente domanda di giustizia.
Si, lo ammetto, ho disertato più volte questa cerimonia, ma non per mancanza di rispetto ma perché ho sempre pensato che le statistiche, fredde, aride finiscono con il tradire la formazione culturale e professionale del magistrato che rischia così di essere trasformato in un vero e proprio “sentenzificio”.

Ogni anno, a questa cerimonia, la parola più ricorrente è EMERGENZA e poiché, nonostante sembri ieri, risale a vent’anni fa il mio ingresso in magistratura, il rischio di provare una profonda frustrazione è concreto.
Questo perché l’EMERGENZA è una situazione imprevista, grave, urgente, che va fronteggiata con provvedimenti straordinari.
Ma se i problemi che affliggono la giustizia sono esattamente uguali a quelli di vent’anni fa non possiamo far altro che prendere atto che sono divenuti cronici e che i tentativi di risolverli si sono rivelati inadeguati.
Non può certo parlarsi di EMERGENZA con riferimento ai tempi di definizione dei procedimenti civili e dei processi penali se non si affronta definitivamente il problema dell’adeguamento della pianta organica.
Non può certo parlarsi di emergenza dopo che per moltissimi anni i Tribunali di questo Distretto sono stati abbandonati, sì abbandonati, in condizioni di cronica e consistente scopertura, con la conseguenza che sono stati considerati “da scartare” anche da parte dei magistrati chiamati a scegliere la loro prima sede e che hanno preferito svolgere la loro funzione altrove, pur di lavorare in condizioni umanamente sostenibili. Lo stesso dicasi per le pochissime pubblicazioni di posti che sono andate deserte.
Eppure dopo la stagione del c.d. Caso Messina gli ispettori ministeriali avevano scritto, nero su bianco, che occorreva un consistente aumento dei posti in pianta organica.
L’aumento negli anni avvenire si è limitato ad una sola unità.
E’ passato un decennio e nell’ultima relazione ispettiva, solo di pochi mesi fa, leggiamo: “All’esito dell’ispezione deve rilevarsi l’assoluta inadeguatezza della pianta organica del Tribunale di Messina, che ha ingenerato sofferenze in tutti i settori. L’inadeguatezza delle risorse umane, rispetto ai volumi degli affari da trattare, è stata più volte denunciata in diverse sedi dal Capo dell’Ufficio. Alla luce dei flussi di lavoro rilevati in corso di verifica, la pianta organica dei Magistrati del Tribunale, avuto riguardo alle dimensioni ed al carico complessivo di lavoro– oltre che alla comparazione con la situazione di Uffici giudiziari distrettuali limitrofi – deve ritenersi del tutto inadeguata alla domanda di giustizia del territorio.”.
Non è poi da considerarsi un’EMERGENZA la ormai drammatica carenza di personale determinata dal mancato turn over. E’ inaccettabile non solo la condizione in cui il personale amministrativo è costretto a lavorare ma vieppiù che vi siano colleghi che chiedono di aumentare il numero di udienze e che venga loro risposto che non è possibile perché manca il personale che dovrebbe assisterli.
Come può poi affrontarsi il problema della durata dei processi in termini di EMERGENZA?
L’inserimento, oramai risalente, nella Costituzione dei principi del giusto processo e della ragionevole durata, rimangono lettera morta se non accompagnati da serie e ponderate riforme.
Riforme, però, che, si badi, non possono essere frutto di spinte emotive mediaticamente alimentate, che spesso finiscono per duplicare ciò che è già previsto dal nostro codice, determinando problemi interpretativi, o che finiscono per dilatare ancora di più, ove ve ne fosse bisogno, i tempi dei procedimenti.
Basti qui pensare, soltanto a titolo esemplificativo, all’obbligo introdotto, con la c.d. legge sul femminicidio, di notificare alle persone offese, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari che è atto a garanzia dell’indagato, le richieste di archiviazione anche quando non ne abbiano fatto richiesta o peggio, le richieste di revoca o sostituzione delle misure cautelari in tutti i reati commessi con violenza alle persone.
E’ oramai non più rinviabile un intervento riformatore del processo penale in mancanza del quale l’impegno organizzativo rischia di risultare vano.

Una riforma che passi attraverso una seria depenalizzazione, uno snellimento del sistema delle notifiche, il superamento dei processi a carico degli imputati irreperibili, una revisione delle nullità ma, soprattutto, attraverso un intervento radicale sugli stratificati ed infausti interventi legislativi in tema di prescrizione che, come oramai coralmente ribadito, da ultimo da gruppo anticorruzione del Consiglio d’Europa “non è un rimedio contro la giustizia lenta ma ne è la causa”.
La giustizia non è quella che passa attraverso i talk show perché l’effetto che ne deriva è che da una parte si contesta l’abuso della custodia cautelare, dall’altra si grida allo scandalo quando il pirata della strada non viene mandato in carcere o quando vengono concessi permessi premio o liberazioni anticipate.

Né può appellarsi come EMERGENZA il problema del sovraffollamento carcerario, già vecchio, noto e rimasto, per anni non seriamente affrontato e che non può certo risolversi attraverso meccanismi che si traducono in una rinuncia alla istanza punitiva e che rischiano di risolversi in un vulnus per la sicurezza pubblica.
Che senso ha inasprire le pene, creare nuove figure di reato, quando poi non si garantisce il rispetto dell’effettività della pena, quando si attuano meccanismi di liberazione anticipata che si applicano a tutti i reati, anche i più gravi, e che si rivelano proporzionalmente più elevati quanto più alta sia la pena concretamente irrogata?

La situazione drammatica del Paese impone a tutti di porre la questione giustizia e prima ancora legalità perché non v’è dubbio che una giustizia più efficiente rafforza la credibilità, assicura certezze. Alla stessa stregua un’efficace azione di contrasto dei dilaganti fenomeni di illegalità, oltre che ridurre le ingiustizie sociali, consente allo Stato di recuperare enormi risorse sottratte ai poteri criminali.
E non c’è dubbio dunque che le riforme da elaborare, lungi dall’avere natura emergenziale devono essere di lungo periodo, viceversa rischiano di produrre danni uguali se non addirittura maggiori ma soprattutto destinate a soccombere in occasione del vaglio da parte della Corte Costituzionale, come è avvenuto, nel settore civile al rito societario oltre che alla prima stesura della mediazione.

Certo, qualche passo avanti si è registrato proprio nel settore civile laddove ai colleghi va riconosciuto di avere, nonostante l’enorme mole di procedimenti gravanti sui propri ruoli, livelli di definizione tra i più alti d’Italia.
E mi fa piacere qui ricordare che presso il Tribunale di Messina già ad aprile 2012 è stato emesso il primo D.I. telematico con valore legale.
Il Distretto di Messina è stato poi il primo in Italia ad acquisire l’autorizzazione ministeriale all’utilizzo del PCT in tutte le sue funzionalità e potenzialità sicchè, sin dal 2.12.2013 in tutti gli uffici del Distretto è possibile per gli operatori (giudici, avvocati e personale) sfruttare compiutamente le potenzialità del PCT.
In proposito va segnalato che, a tutt’oggi, la risposta del Foro è stata piuttosto modesta ed a Barcellona quasi nulla.

EMERGENZA è poi espressione che in questa città non può essere utilizzata con riferimento all’edilizia giudiziaria.
La lucidatura dei marmi è, come ogni anno, circoscritta al percorso della Corte e dei nostri autorevoli ospiti. Ma le piante ed il tappeto rosso tra poco spariranno ed il palazzo tornerà alla sua quotidianità.
Quella quotidianità in cui un terzo degli operatori lavorano negli angusti e umidi piani cantinati, in cui il Tribunale del Lavoro insiste in un edificio in parte non agibile, in cui ci sono cancellieri che prestano la loro attività in locali originariamente destinati a bagno, dove l’udienza civile si tiene in stanze in cui si affollano decine di avvocati e testimoni e dove non possono essere rispettati neppure i più elementari principi di riservatezza.
Quelle somme che all’epoca avrebbero consentito di realizzare una vera e propria cittadella giudiziaria, ad oggi, non sono state utilizzate né a tutt’oggi è stata trovata una soluzione.
E tutto ciò senza parlare, in epoca di spending review, dei quasi due milioni di denaro pubblico, che a titolo di canoni d’affitto, finiscono nelle tasche di privati.
Oggi, con forza, l’ANM del distretto di Messina chiede alle istituzioni competenti che si addivenga, finalmente, ad una soluzione che sia definitiva e soprattutto che ridia in tempi rapidi, dignità a chi ogni giorno varca le soglie del Palazzo e non mi riferisco evidentemente solo agli operatori ma all’intera città.
Non è più tempo di perdere tempo.

Siamo stati appellati fannulloni, lumache, barbari; poi solo pochi giorni fa, abbiamo scoperto, dalle parole del nostro Ministro, che i magistrati italiani hanno una produttività, tra le più alte d’Europa.
L’impegno della magistratura associata del Distretto è quello di continuare con la stessa passione, sin qui profusa, a svolgere la delicata funzione, ciò che chiediamo è di potere lavorare non meno ma meglio e di non vedere vanificato il nostro lavoro.”

(76)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Contenuto protetto.