All’alba il vento ululava furioso da ovest

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All’alba il vento ululava furioso da ovest, mentre una pioggia battente mostrava la vera faccia dell’inverno.

Aprì una finestra, riparata dal vento, col caffè profumato e fumante in mano. Un raggio di sole rosso attraverso uno squarcio nelle nuvole, illuminando alcuni ulivi mossi dal vento e  alcune grandi onde che si rompevano in tempestosi spruzzi. Respirai, profondamente, ascoltando la furia  del clima. Richiusi e accesi il camino.

 Più tardi, in città, il tempo migliorò.

Sulla via principale, famigliole e giovani donne , piene di pacchi, giravano frenetiche per gli acquisti di natale. Poche, per la verità, rispetto agli altri anni, ma comunque molto operose, come delle api attorno ai fiori, dando un minimo di speranza all’asfittica economia cittadina. Alcune camminavano  e guardavano le vetrine come se fossero le protagoniste di Sex and the City, ma la City non era New York , loro non erano delle scrittrici di successo, ed i loro panzuti accompagnatori non erano proprio “Mister Big” o “Aleksandr Petrovsky.

 Carrie, , Charlotte, Miranda e Samantha, dei villaggi limitrofi la nostra cittadina, avevano un bel da fare. Trasfigurare la loro realtà, fatta di  gelato con bimbi urlanti al seguito, pizzerie  e scarpe comprate nella bancarella del mercato, in quella cosmopolita, tutta aperitivi in lussuosissimi bar, cene in eleganti ristoranti e scarpe da 400,00 dollari al paio, non era impresa da poco, ci voleva un certo ticchio fantasioso.

Io passai in libreria, una mia vecchia amica aveva scritto una biografia non autorizzata di un politico e volevo leggerla. E Poi, come al solito, finii in una enoteca. Era addobbata per il natale ed una giovane commessa preparava cestini natalizi. Mi sembrò un po’ snaturata per la verità, era più piacevole quando, più silenziosa e meno colorata, proponeva solo storie imbottigliate. La sgargiante proposta di regalare eleganti leccornie per dimostrare riconoscenza al medico o all’avvocato mal si addiceva con l’abitudine di costruirsi intimi momenti personali di piacere enologico da condividere con persone di cui già si conoscono i gusti. Molti di quei regali sarebbero finiti riciclati o in cantina. Del resto come si poteva azzeccare il gusto di uno che hai da poco conosciuto nel suo lavoro?

Una “Samantha Jones” entrò dalla porta, bionda, fasciata in un tubino rosso con un tacco da vertigini,   voleva regalare un paio di bottiglie al suo avvocato divorzista. In un lampo mise a soqquadro l’enoteca, il mio amico enotecario e noi clienti, col suo vociare e stordendoci col suo profumo. Lo salvò la moglie, tra donne ci si capisce meglio. Lui liberato da quel ciclone mi sorrise e si avvicinò per consigliarmi un vino. Avevo già adocchiato un Amarone Masi Costasera del 2007 e lui, per gli abbinamenti culinari della serata, lo trovò perfetto. Pagai, chiesi scusa a “Samantha”, che aveva assoggettato tutti gli spazi disponibili, per potere raggiungere la porta e  uscii.

A casa, il fuoco covava sotto la cenere, feci ripartire il camino, rapidamente e misi a bollire il lacerto nel latte, secondo una ricetta di mia nonna. Mi sedetti sul divano, di fronte al fuoco, aprii il vino e versai.  Diana Krall cominciò “fly me to the moon”.

Il vino si presentò,  rosso scurissimo con un unghia violacea e profumo di spezie ed erbe, molto complesso, capì che per berlo si doveva aspettare. Aprii il libro di Victor Hugo, che stavo leggendo.

Dopo poche pagine, ripresi il vino, si sentiva la frutta cotta, la ciliegia,  la cannella ed il rabarbaro e poi in bocca una particolare dolcezza e l’alcool, non ricordavo la  lunga persistenza, che si sarebbe sposata bene col lacerto. Mi alzai per controllare la cottura e ripensai alla mia giornata, la crisi non aveva piegato le ragazze di sex and the city, che imperversavano leggiadre.

 Io, invece, avrei sempre preferito, alla  loro superficiale allegria,  una buona bottiglia di vino, un  camino, Hugo, e  il pianoforte di Diana Krall.

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