Messina, 28 dicembre 1908, ore 5:21. Per i sismografi dell’epoca è l’inizio di un evento sismico simile a quello che nel 1693 rase al suolo la Val di Noto; per i messinesi, a riposo nelle loro abitazioni, è l’inizio della fine. Per tutti, è la manifestazione di un disastro, anzi, è il disastro. Un potentissimo terremoto, più forte di quello del 1783, ha disintegrato la città dello Stretto.
Zancle è in ginocchio, è irriconoscibile. La furia della natura ha polverizzato palazzi e lunghissimi secoli di storia. Il tutto in trentasette secondi. Le stime sul numero dei morti e dei dispersi sono ancora oggi incerte: le più ottimiste partono dalle 50.000 vittime, mentre quelle più impressionanti si spingerebbero fino a 80.000, ben oltre la metà della popolazione dell’epoca.
Messina, semplicemente, è come se non esistesse più. Alcuni restano per sempre dispersi, altri vengono estratti dopo settimane dalle macerie, con dei soccorsi imperdonabilmente in ritardo, per il quale verrà ricordato l’eroismo dei marinai russi accorsi per primi sulla terraferma.
Messina dopo il terremoto del 1908: la lenta rinascita
«Il popolo messinese – si legge in “Messina prima e dopo il disastro”, l’opera magna di Ettore e Manfredi Principato – è d’intelligenza assai svegliata e vivace con spiccatissime tendenze artistiche che si rivelano nella gioventù di tutte le classi. Sobrio e laborioso esso è a preferenza di molte altre provincie dell’isola, cortese ed ospitale cogli stranieri. Riserbato e prudente esso mette negli affari la massima circospezione per non lasciarsi ingannare. Sa però nei momenti supremi essere risoluto ed eroico».
Che fine ha fatto quel popolo messinese? Un anno dopo il disastro, secondo i dati dell’allora Divisione di statistica generale del Ministero per l’agricoltura, gli abitanti erano poco più di 60.000, una cifra destinata comunque a triplicare nel decennio successivo. Ad aiutare la ripresa furono infatti due fattori cruciali per la rinascita di Messina dopo il terremoto del 1908:
- Un miracoloso saldo positivo delle nascite, che supereranno i decessi per tutti gli anni Dieci, ad eccezione degli ultimi anni della Prima guerra mondiale;
- Il ripopolamento massiccio dai comuni della provincia.
Negli anni Trenta, quando terminò la ricostruzione, in riva allo Stretto si cominciò a respirare una vaga aria di normalità, anche se di normale non ci fu praticamente più nulla nella vita di chi sopravvisse a quel cataclisma, e di lì a poco sarebbero finanche cominciati i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. In alcuni casi, l’unica soluzione fu quella di abbandonare Messina, in modo permanente.
Basti pensare allo storico pugliese Gaetano Salvemini, uno dei nomi più importanti tra i docenti dell’Università degli Studi di Messina dei primi del Novecento, che vide perire la moglie Maria, i figli Filippo, Leonida, Corrado, Ugo ed Elena, e la sorella Camilla.
Salvemini non ebbe altra scelta se non quella di lasciare la città e ricominciare una nuova vita altrove. Il suo percorso fu tristemente analogo a quella di tantissimi altri messinesi rimasti senza casa, senza lavoro, senza famiglia.
Il movimento documentato delle persone è una delle due migliori testimonianze dirette e indirette della storia. Qual è l’altra? La fotografia.
Il Duomo di Messina prima e dopo il terremoto del 1908
È attraverso la fotografia che è possibile osservare l’evoluzione di una società. Il cambiamento di Messina non è così evidente negli scatti precedenti al terremoto del 1908. In essi a colpire non è tanto lo stile, l’aspetto tecnico o l’esistenza stessa di qualcosa che non c’è più. La riproduzione fedele dei monumenti e degli edifici cittadini è avvenuta con dovizia di particolari, per non smarrire l’inconfondibile impronta artistica. Il Duomo ne è un esempio.
Sebbene il campanile nella sua forma moderna non appaia in nessuna foto prima del terremoto, la sua è una storia fatta di abbattimenti, incendi e ristrutturazioni che si sono ripetute ciclicamente, con un’origine precisa che si perde nella notte dei tempi. Il Duomo è il cuore pulsante di Messina, il fulcro artistico e religioso del centro storico, che con la sua maestosità diventa metafora della città che cade e risorge.
La porta laterale destra della cattedrale, risalente al XIV secolo, si presenta con delle pietre di colore rossastro ed è rimasta praticamente identica a com’era in passato, salvo un impercettibile restauro dell’immagine di Maria sotto l’arco.
Un restauro lungo 80 anni: il destino del Teatro Vittorio Emanuele
Un altro edificio simbolo di Messina è il Teatro Vittorio Emanuele, che da 170 anni sorge dinnanzi allo Stretto. Il terremoto del 1908 risparmiò la struttura esterna e fece crollare solamente il palcoscenico, grazie alla progettazione antisismica.
«Era stato costruito secondo le normative antisismiche dettate dai Borboni» ha rivelato qualche anno fa a Normanno lo storico messinese Franz Riccobono. «Dopo il terremoto del 1783, che aveva distrutto tanti paesi in Calabria e danneggiato la stessa Messina, il governo borbonico varò delle leggi speciali per regolamentare le costruzioni nei territori a rischio sismico».
A confermare quest’ipotesi ci sarebbe anche un esperimento svolto nel 2013 dal CNR, che aveva ricostruito una parete del palazzo del Vescovo di Mileto di Vibo Valentia seguendo i criteri edilizi borbonici.
E che aspetto ha oggi il Teatro Vittorio Emanuele dopo il terremoto e i raid aerei del secondo conflitto mondiale? Il restauro completato nel 1980, con una simbolica inaugurazione in cui venne riproposta l’Aida di Giuseppe Verdi, come la sera prima del 28 dicembre 1908, ha permesso al palazzo di ricalcare nel bene e nel male la sua configurazione originale, salvo l’assenza dei cancelli nel carrozzatoio che, tuttavia, presto potrebbero fare il loro ritorno.
Una città costruita sulle macerie: la chiesa dei Catalani
La differenza più significativa tra la Messina del 2021 e la Messina del 1908 è però visibile nel monumento più rappresentativo di com’era fisicamente la città prima della catastrofe, ovvero la chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani. Una domanda è ricorrente nella mente di chi visita Messina da turista o per lavoro: perché questa chiesa appare quasi affossata rispetto al manto stradale?
Il dislivello di circa due metri tra la costruzione e l’asfalto di via Cesare Battisti e via Garibaldi è successivo al terremoto di 113 anni fa. La profondità della chiesa dei Catalani corrisponde all’altitudine iniziale della città di Messina, completamente riedificata sugli imponenti strati di macerie.
Oggi la via su cui si affaccia la chiesa dei Catalani è sommersa dalle automobili e dagli scooter che sfrecciano sul suggestivo panorama dello Stretto, forse la principale differenza con la Messina del tardo XIX secolo, dominata da pedoni, carretti e carrozze.
Cos’ha insegnato il terremoto del 1908 a Messina
Dagli scatti odierni, emerge una Messina soltanto apparentemente rinata, che dietro la volontà di riappropriarsi di ciò che la natura le aveva sottratto nasconde il suo volto peggiore, spesso – per citare il regista siciliano Roberto Andò – passatista e reazionario, che le impedisce di fare i conti con il mondo che cambia intorno a sé.
A Messina si cela però anche un grande orgoglio che i monumenti resistiti alla prova del tempo cercano di rievocare ogni giorno, nel tentativo di ridare dignità a un posto che il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe, profondo ammiratore della città nel suo “Viaggio in Italia”, decantava usando queste parole: «Lo spettacolo era stupendo, e la sua singolarità ci faceva dimenticare il disagio».
(Foto d’epoca dell’archivio di Franz Riccobono e Giangabriele Fiorentino)
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