Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una messinese che racconta l’esperienza di una notte vissuta in un Pronto soccorso milanese:
“Sono messinese, e Messina, secondo recenti sondaggi, è l’ultima città d’Italia per qualità della vita. Un dato che, tra un sali e scendi negli ultimi posti della classifica, ci trasciniamo dietro da tempo, perchè è vero che a Messina le cose non vanno tanto bene, in termini di legalità, occupazione, sanità, amministrazione, viabilità, genericamente di civiltà.
E’ vero, e noi messinesi siamo anche bravi a evidenziarle queste piaghe cittadine, ce ne nutriamo e nutriamo gli altri, quelli che messinesi non sono, dei panni sporchi di casa nostra.
Di più, siamo convinti che certe ‘porcherie’ avvengano solo dalla parti
nostre. Sbagliamo. Certe ‘porcherie’ avvengono anche nelle ‘civilissime’ città del nord Italia, quelle abitate da chi nel parlare non allarga le vocali, non raddoppia le consonanti, non parcheggia in doppia fila e sta composto e in attesa nelle code agli uffici. Milano, ad esempio, che educazione nelle strade, agli sportelli; che garbo tra gli automobilisti.
Milano, ad esempio, che schifo al pronto soccorso di uno dei maggiori ospedali del centro città. Ci arrivo due notti fa, allarmata da un malore. Sono in buona compagnia, quella di una decina di extracomunitari che, visto che bivaccano in sala d’attesa ( alcuni dormono, altri si cibano di pasti frugali, altri ancora smaltiscono la sbornia) dubito siano lì per accertamenti sanitari, anzi, sono proprio habituè del luogo, visto che gli infermieri li salutano affabilmente. Sì, sono proprio ‘di casa’ lì. Talmente di casa che uno tra loro risolve sul posto anche l’impellenza di fare pipì, lasciando ai suoi piedi una larga pozza di urina che poco a poco si estende sino ai miei. Io, seduta su una scomoda sedia, rimango inebetita nel vedere che nessuno del personale sanitario si preoccupa di chiamare un inserviente perchè pulisca il pavimento. Per circa 3 ore, io, una decina di extracomunitari, ubriachi e non, apparentemente ‘residenti’ al Pronto soccorso, e due o tre italiani come me in attesa di accertamenti, rimaniamo ammorbati dal puzzo di urina. E aggiungo che i locali non potevano essere arieggiati perchè sprovvisti di finestre. Poi, finalmente, un inserviente decide di passare uno straccio. In realtà non pulisce, solo spalma sul pavimento la pipì. Non mi stupisce, dunque, il fatto che una ragazza, in evidente stato di ubriachezza, venga lasciata su una barella in sala d’attesa, con accanto un bidone di rifiuti, dove lei riversa il proprio vomito: nessuna privacy per lei, che chiede scusa, mortificata, ad ogni ‘gettito’. Di fronte a tutto ciò, io penso: e poi siamo noi, quelli del sud, a gestire in modo pessimo la ‘cosa pubblica’; siamo noi, i brutti, sporchi e cattivi.
C’è un motivo se ho raccontato la mia notte al pronto soccorso di un
centralissimo ospedale milanese, ed è che vorrei, attraverso la mia
testimonianza, far capire a tutti noi messinesi che prima di sputtanare la nostra città come facciamo, prima di denigrarla agli occhi dell’intera Italia, dovremmo girarla un po’ quest’Italia del nord simbolo di civiltà, dove sulla carta e per sentito dire tutto scorre a meraviglia e la perfezione regna sovrana; dovremmo viverla anche nelle sue miserie, le sue sconosciute, almeno ai nostri occhi, realtà, l’altra Italia, e poi imparare da chi la abita come si fa a non rivelarle, le ‘porcherie’ di casa. Che poi, io, in un pronto soccorso di un ospedale messinese non ho mai visto un ‘ricovero’ per extracomunitari’. E neanche quella sporcizia. E aggiungo, per non essere fraintesa, che non sono razzista, perchè se a fare di una struttura sanitaria l’uso improprio che ho visto a Milano fossero stati italiani avrei avuto la stessa rabbia e lo stesso senso d’ impotenza: il pronto soccorso di un ospedale non può essere adibito a ricovero.
Sono uscita alle 6,30 del mattino ( ci ero entrata alle 22 della sera prima, ma, pensate, sono stata visitata alle 4, sulla base di un sospetto attacco di angina) da quel presidio sanitario milanese, a cui devo, comunque, riconoscere un merito: il personale medico, preciso, gentile e competente. Ne sono uscita orgogliosa della mia Messina, dove se mi affaccio dalla finestra di un ospedale , finestra che c’è, respiro aria e vedo il mare; dove ciascuno di noi dovrebbe imparare ad amare quello che ha, migliorare le cose brutte e non porle in evidenza. Insomma, lavorare da dentro, senza sputtanare la propria terra fuori. Facciamo come fanno loro.”
Virginia Torre
(foto repertorio)
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