È passato un anno dall’inizio del mandato di Cateno De Luca come sindaco di Messina. Mandato che, già primi mesi, è sembrato, più volte, destinato ad avere vita breve. In 365 giorni (ma anche meno, in realtà) il Primo Cittadino, infatti, ha “agitato lo spettro” delle dimissioni diverse volte, in ultimo rilanciando e sfidando il Consiglio Comunale a portare tutti alle urne.
Ma andiamo con ordine. La prima volta che Cateno De Luca ha annunciato le sue imminenti dimissioni ha sorpreso tutti. Il 31 agosto 2018, durante una seduta del Consiglio Comunale dedicata alla discussione sulla costituzione dell’Agenzia per il Risanamento (ARisMe) il Sindaco di Messina ha dichiarato di essere pronto a dimettersi affermando, tra le altre cose: «Ho fretta di dare risposte alla città, altrimenti preferisco tornare a fare il deputato». Il tutto si è risolto, almeno temporaneamente, con l’approvazione del documento che ha siglato la nascita dell’Agenzia che, oggi, si occupa del risanamento della città dello Stretto.
Altro giro, altra corsa, altre dimissioni (annunciate). La mattina del 28 settembre 2018, dopo una lunga e infruttuosa seduta in Consiglio Comunale, il Sindaco di Messina ha condiviso sui social la propria lettera di dimissioni che avrebbe avuto effetto a far data dall’8 ottobre. Per l’occasione il Primo Cittadino aveva organizzato un comizio di commiato che, dopo la siglata tregua con il Civico Consesso, si è trasformato in un semplice comizio di piazza. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, in quel caso, era stata la mancata approvazione del nuovo Regolamento del Consiglio Comunale voluto da De Luca per accelerare i tempi dell’attività deliberativa.
Le dimissioni, in questo caso, sono state revocate solo dopo la votazione favorevole al Salva Messina, il documento programmatico presentato dalla Giunta in Consiglio per pianificare le azioni strategiche da intraprendere per il governo della città.
Nel frattempo, chiaramente, è stato il turno delle dimissioni da deputato ARS per incompatibilità che, dopo un tira e molla di qualche settimana, il Sindaco ha presentato nell’autunno 2018 lasciando il posto a Danilo Lo Giudice e, successivamente, la consegna della fascia blu di sindaco metropolitano al Prefetto.
E adesso, siamo al terzo atto. Il sindaco Cateno De Luca ha – nuovamente – annunciato le sue dimissioni. Questa volta il casus belli è stata la delibera sull’uscita di Messina da Taoarte, voluta dalla Giunta ma osteggiata, almeno in parte, dal Civico Consesso.
Uscito dall’Aula, sono bastati pochi minuti al Primo Cittadino per pubblicare su Facebook la rinnovata volontà di dimettersi: «Oggi ho dovuto prendere atto che in Consiglio Comunale non ci sono le condizioni per poter attuare il nostro programma amministrativo votato dal 68% dei messinesi. Non sarò io a tenere sotto scopa la città! Condurrò la mia azione amministrativa fino a dicembre prossimo senza alcuna esitazione pretendendo il rispetto delle norme regolamentari per l’esame in consiglio comunale delle delibere proposte dalla giunta comunale».
Le dimissioni, quindi, sempre “postdatate” sono ancora pendenti e lo scontro con il Consiglio Comunale, aggravatosi dopo la discussione sulla delibera riguardante gli Ispettori Ambientali, non sembra destinato a perdere di intensità, tanto che De Luca ha poi lanciato una sfida ai consiglieri e li ha invitati a dimettersi insieme a lui, lasciando così la palla in mano all’“avversario”.
Insomma, se c’è un filo conduttore in tutta questa vicenda, è chiaro che siano i rapporti con il Consiglio Comunale al cui interno, fin dall’inizio, è stato evidente che il Sindaco non aveva e non avrebbe avuto facilmente una maggioranza. Nessuna delle sue liste, infatti, era riuscita a superare la soglia che gli avrebbe consentito di ottenere un posto in Aula. E se, da un lato, De Luca imputa al Consiglio la “colpa” di porre un freno all’azione amministrativa, dall’altro, i consiglieri ribattono accusandolo – usando le parole del Presidente Claudio Cardile – di «essere allergico al confronto democratico».
Cosa succederà adesso? Non resta che attendere e, se la querelle non dovesse risolversi in un accordo, prepararsi a nuove elezioni per la prossima primavera.
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