Non capita tutti i giorni che un comune capoluogo di provincia perda nottetempo un terzo del suo territorio, ma con il referendum per Montemare, per la prima volta, a Messina potrebbe succedere. In verità non si tratta di un referendum improvvisato. Forse subitaneo, visti i ricorsi – bocciati – per evitare l’accorpamento con le elezioni amministrative, ma domenica 12 giugno 2022 sarà il redde rationem che il comitato promotore di Montemare comune aspetta dal lontano 2009.
Dopo annose battaglie legali col Comune di Messina, alla fine questo referendum è stato indetto. Basti pensare che la prima raccolta firme è avvenuta nel 2011, quando vennero autenticate 2.538 firme. Da allora il percorso che ha portato a questa campagna referendaria è stato quantomeno tortuoso.
Riavvolgiamo il nastro: Montemare è il nome dato all’ipotetico comune che si creerebbe nei territori dell’ex XII e XIII quartiere di Messina (VI circoscrizione), nelle frazioni di:
- Castanea delle Furie;
- Salice;
- Gesso;
- Massa San Giorgio;
- Massa San Nicola;
- Massa Santa Lucia;
- Massa San Giovanni;
- Acqualadroni;
- Spartà;
- Piano Torre;
- San Saba;
- Rodia;
- Orto Liuzzo.
Il distaccamento di queste zone dal comune di Messina comporterebbe un mutamento dei confini geografici della Città dello Stretto senza precedenti. Qui vivono pressappoco 7.000 persone, un tempo anche di più. Perché alcuni di loro non vogliono dipendere più da Palazzo Zanca?
La popolazione residente a Montemare da tempo denuncia l’assenza delle istituzioni, puntando il dito contro il Comune di Messina e la circoscrizione, ree di averla abbandonata a beneficio di altre località. L’accesso ai servizi è ridotto al minimo indispensabile, così come anche le risorse destinate all’illuminazione pubblica e alla manutenzione stradale, talvolta inesistenti. Eppure, bastano queste carenze per fare una secessione? Come si giustifica lo smembramento di una città metropolitana? È economicamente sostenibile un progetto di tale portata?
Lo abbiamo chiesto a Carlo Rizzo e Giandomenico Arena, coordinatori del Comitato promotore del referendum per Montemare, intercettati prima di partire per il penultimo evento della campagna referendaria a Gesso.
Referendum Montemare, il sì spiegato dal Comitato promotore
«Il Comune – esordisce Rizzo – è l’unico strumento per poter andare a fare una progettazione, quindi il piano regolatore generale, e poi andare a sviluppare tutto un territorio. Per un comune come Messina, chiunque sia il sindaco, viene difficile fare ciò e l’esigenza nasce proprio da questo: un comune nel territorio lo può progettare e sviluppare secondo le esigenze richieste. Parlano tutti di una settima circoscrizione, ma secondo l’articolo 17 del testo unico degli enti locali per fare una circoscrizione bisogna rientrare in una media di 30.000 abitanti».
Questa potrebbe sembrare la classica battaglia per i diritti delle periferie, ma, ci tiene a precisare Giandomenico Arena, Montemare non è semplicemente una periferia: «Noi siamo, rispetto a Messina, la periferia di Ganzirri. Questa situazione che ci vede da decenni in questa condizione ci ha penalizzato e ha svuotato il nostro territorio dal punto di vista di investimenti, di proposte, di progettazione, e l’ha relegato a un ruolo di periferia. Con il progetto di comune vogliamo invece ridiventare il centro del nostro territorio».
C’è poi il caso di Misiliscemi, il nuovo comune formatosi in provincia di Trapani, dove, dopo un referendum simile a quello di Montemare, manca ancora un’amministrazione comunale. Per Rizzo si tratterebbe comunque di un esempio positivo da cui imparare: «Dimostra che le regole sono fatte abbastanza bene e garantiscono i cittadini. Non avviene un salto nel buio. Il commissario, quando vede che tutto è pronto, mette in condizione il territorio di poter andare a votare ed eleggere un’amministrazione in grado di poter sorreggere il nuovo comune».
In che modo però si potrebbe sostenere sul piano economico e finanziario un ente costituito ex abrupto? «Attualmente – spiega Arena – facciamo convergere sul comune di Messina tutto quello che riguarda le tasse e anche i trasferimenti regionali e nazionali che arrivano. Noi contribuiamo verso il comune di Messina con 1.600 euro pro capite annui, quindi quasi 12 milioni di euro che arrivano alle casse di Palazzo Zanca. Sul nostro territorio il ritorno è probabilmente un decimo di questo valore. Se facessimo un comune noi, queste risorse sarebbero gestite meglio e in modo più oculato».
Malgrado le rimostranze, Montemare manterrebbe ovviamente delle relazioni proficue con la Città Metropolitana di Messina, eleggendo il suo eventuale sindaco al Consiglio metropolitano, ma si occuperebbe in prima persona di altri temi finora interamente in mano a Palazzo Zanca, come il turismo.
«61 km – conclude Rizzo – di superfici: è una ricchezza. Perché la vera ricchezza di un territorio, di un comune, sono le colline, la montagna e anche la costa, però è una ricchezza che va sviluppata. Noi come territorio potremmo entrare, perché ne abbiamo diritto come Rometta, in una zona franca montana, che significherebbe investimenti e agevolazioni fiscali enormi».
Mentre aleggia l’incognita del doppio quorum per la validità del referendum (qui si può leggere il quesito stampato sulle schede elettorali), intanto l’ARS ha approvato una modifica alla legge regionale 30/2000 che elimina il doppio quorum e fissa a 10.000 il numero minimo di abitanti per poter richiedere la creazione di un nuovo ente. Per il Comitato promotore, dunque, è «ora o mai più».
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