Molto spesso pensiamo che Messina non sia una città multiculturale; certo non è paragonabile a Roma, Palermo, Torino, Milano, ma anche qui, in riva allo Stretto, vivono persone provenienti da culture diverse, che mescolano le loro tradizioni (anche quelle dedicate al Natale) a quelle siciliane. Così abbiamo raccolto le storie di quattro ragazzi nati a Messina, ma che hanno origini diverse; c’è chi viene dal Brasile, chi dalla Grecia, chi dal Veneto e chi dalla Serbia. Siete pronti per questo viaggio?
Natale a Messina: le tradizioni di chi viene da fuori
Tra le cose più belle del Natale c’è la riscoperta delle tradizioni, qui a Messina ogni famiglia ha la sua: c’è chi mangia pesce, chi preferisce i rustici, chi prepara sempre lo stesso dolce o le stesse decorazioni natalizie, o chi invece preferisce il presepe. Poi ci sono i messinesi che hanno famiglie multiculturali, in cui le tradizioni messinesi si mescolano ad altre. Qui le storie di Mattia, Sefora, Andrea e Alessandra.
Mattia Monaco e il vin brulé
Mattia Monaco è di Messina, ma la sua mamma Velinda viene dal Veneto. «Si è trasferita per amore – racconta Mattia –, ha conosciuto mio padre in vacanza quando aveva solo 19 anni (cosa fanno questi uomini siciliani alle donne). Abita a Messina da 37 anni. La cosa che preferisce della città sono le persone, molto più aperte di quelle del nord, con cui si fa amicizia con più facilità».
Quali sono le tradizioni della sua città d’origine che ti ha trasmesso? «Aprire i regali di Natale quando ci sono tutti i membri della famiglia, anche quelli che abitano in Australia; preparare la calza della befana di nascosto quando i bambini dormono (ma penso che questa sia abbastanza comune); scrivere e leggere tutti i bigliettini. I bambini vanno girando col carretto di Babbo Natale a fare gli auguri a tutti, il canto della stella; i sepolcri; il vin brulè gratuito in piazza la notte di Natale e a Capodanno».
La tradizione “non messinese” che non può mancare a Natale? «Cucinare il cappone, i tortellini col brodo del cappone, il pasticcio, i crostini con le noci e il burro, o salmone e burro, almeno due tipologie di panettone che altrimenti il nonno ci resta male». E la tradizione messinese a cui mamma Velinda si è affezionata di più? «La preferita di mia madre è senza dubbio la tradizione dei morticini, lasciare del cibo sotto al letto e in cambio, la mattina dopo, ricevere i doni dei morti che sono passati a far visita».
Sefora e il doppio Capodanno
Dal Veneto ci spostiamo verso la Serbia perché è da qui che viene la famiglia di Sefora Adamovic. «Entrambi i miei genitori provengono dalla Serbia, mentre io – ci racconta Sefora – sono nata a Taormina e il mio fratello più piccolo a Messina: l’unico messinese in famiglia è il mio sposo, anche se ha origini greche». Perché si sono trasferiti in Sicilia? «Per un gioco del destino, per lavoro: erano anni che vivevano a Taormina e Messina doveva essere una tappa di passaggio. Poi, però, ci sono rimasti. E sono passati già 23 anni!».
Qual è la cosa che preferiscono di Messina? «Pur essendo entrambi molto critici, credo che i miei genitori amino molto il mare, la sua prossimità, i minuscoli spazi verdi, come la Villa Dante, che si fanno faticosamente spazio nella selvaggia urbanizzazione, lo stupendo Cimitero Monumentale, la vivacità del mercato ai suoi piedi, così come i mercatini delle pulci e le lunghe passeggiate nei luoghi centrali eppur periferici della città, cercando sempre di avvicinarsi il più possibile al mare, un mare fin troppo e quasi ovunque negato».
Che tradizioni ti hanno trasmesso? «La Serbia, avendo fatto parte per decenni di una federazione socialista, ha fortemente limitato l’espressione religiosa dei cittadini: un ramo della mia famiglia era ateo mentre l’altro neoconvertito all’avventismo del Settimo giorno. Tutto ciò ha fatto sì che conoscessi le tradizioni ortodosse in maniera cristallizzata e distaccata attraverso il ramo ateo della famiglia, quello che le compieva per rispetto delle antiche festività senza grande trasporto e al contempo celebrassi lo Shabbat come gli ebrei (che comunque sono una componente importante dell’intreccio etnico nei Balcani). La cucina sicuramente ha fatto da collante proprio in questo periodo dell’anno, quando le festività imminenti spingono alla preparazione di “podvarak” e “sarme”, piatti tipici a base di carne e crauti, la “projara”, una torta salata a base di farina di mais e feta, dolci “baklavas” come in Turchia e Grecia e soprattutto la “Reform” torta: dolce ipercalorico a base di noci, cioccolato, burro e uova. Considerato che gli ortodossi adoperano il calendario giuliano, vuol dire doppio capodanno da festeggiare: il 31 dicembre internazionale e il 13 gennaio più nazionalpopolare.
Sicuramente dal canto mio non dimentico mai di fare gli auguri ai parenti per le loro “slave”, le feste che celebrano i santi protettori delle famiglie e, da figlia, ogni venerdì sera ceno con i miei per augurare loro un felice Shabbat. Eppure, credo che ciò che più profondamente mi abbiano trasmesso sia qualcosa di meno tangibile: la lentezza orientale nel godimento dei piccoli piaceri, dei momenti insieme. Banalmente, per quanto il caffè italiano sia insostituibile, lo amiamo e lo prepariamo appunto all’italiana, il nostro berlo consuma non di meno un tempo non italiano: può durare da venti minuti a un’ora e richiedere più di una caffettiera e ha un nitore confessionale, anche quando non c’è nulla da dire.
Invece, la tradizione non messinese che non può mai mancare è tutta in cucina: gli involtini di carne e riso dentro foglie di crauti a capodanno, chiamati “sarme”, sono un piatto imprescindibile per mia madre, tanto che ha inventato una variante senza carne per me solo per poterli mangiare insieme. Ma anche i dolci sono importantissimi: mi ha trasmesso la passione per i “medenjaci”, biscotti simili al Pan di zenzero ma con un sacco di spezie in più estremamente forti e con tanto miele». E la tradizione messinese a cui sono più affezionati? «Tra un Natale molto globalizzato e il Ferragosto troppo radicale, la Pasqua è forse la festività che li affascina di più e hanno sicuramente acquisito con una gioia bambinesca la ricerca del panino di cena più speziato per accompagnare le uova di cioccolato».
Andrea e il miscuglio di culture
Non è il compagno di Sefora, ma anche lui ha origini greche. Il padre di Andrea Aliferopulos, infatti, è al 100% greco. «Si è trasferito a Messina per motivi di studio nel 1981, – racconta Andrea –, poi si è sposato e ci è rimasto. La cosa che gli piace di più di Messina sono il panorama e le strade larghe. Sulle tradizioni che ha trasmesso ti dico quelle ortodosse per Pasqua, ma non ci sono tradizioni specificatamente non messinesi che seguiamo. Anche perché la madre di mia madre era nata e cresciuta in Cile (trasferitasi a Messina verso i 13 anni), mentre mio nonno materno era cresciuto a Piazza Armerina (benché fosse di padre messinese); anche lui si era trasferito a Messina nella prima adolescenza. Quindi non si trattava di messinesi doc. La tradizione messinese che preferisce mio padre è la processione del Venerdì Santo».
Alessandra e “o amigo occulto”
«Mia madre è brasiliana e di Messina ama il paesaggio dello Stretto», a parlare è Alessandra Santisi. «Della sua cultura mi ha trasmesso la musica brasiliana, il tifo ai mondiali che è sempre motivo di scontro con mio padre, perché mia sorella e io tifiamo verde-oro. I piatti della cucina brasiliana li sogno. Ogni tanto passo da Castroni (negozio di Roma che vende prodotti dal mondo intero) e penso di organizzare cene brasiliane e poi penso che rimarrei delusa dalla mia imperizia. Quindi li desidero, ma ancora non mi sento pronta per cucinarli. Poi mi ha trasmesso la voglia di far festa, di aggiungere un posto a tavola che c’è un amico in più e di vedere il bicchiere mezzo pieno. Anche se penso che in queste cose ci sia 50% Brasile e 50% Sicilia».
E la tradizione non messinese che non può mancare? A questa domanda risponde la mamma di Alessandra: «Io non sono una persona molto legata alle tradizioni. Non ho portato con me molto del Brasile e ho recepito solo poche cose dell’Italia e mai perché erano rituali, ma solo perché risuonavano in me. Il Natale, in Brasile e in Italia, è sentito in maniera simile, quindi il 24 sera si fa festa con tutta la famiglia. Dopo la mezzanotte arriva Babbo Natale e si danno i regali ai bambini. Si mangia carne, però, e non pesce. Questo mi ha permesso negli anni di cucinare ciò che mi pareva, una volta dicendo che era tipicamente italiano e una volta tipicamente brasiliano. Non si usa il presepe, in Brasile. Chissà se è una questione meteorologica… si usa l’albero, quello sì. Il 26 dicembre non è festivo, ma allora meglio essere in Italia, a Santo Stefano, e poi non c’è la Befana. Insomma, qualche regalo in meno per i bambini. La cosa più curiosa di tutte, comunque, è che le vigilie di Natale, quando andavo da mia nonna, erano piene di piatti italiani perché mio nonno era un emigrato».
Ma rovistando nei cassetti della memoria la mamma di Alessandra si ricorda di una tradizione brasiliana di Natale “o amigo occulto”. «Me lo ricordo da quando sono piccina – racconta Alessandra –, si riunivano, erano una ventina, mettevano musica brasiliana, estraevano, scambiavano, mangiavano, ballavano e ridevano. Di quella risata fatta di gioco spensierato, perché avevano un pezzo di patria in quest’isola che con loro a volte era ostile». La tradizione messinese a cui si è affezionata di più, invece, è la «famiglia come punto di riferimento». Perché il Natale unisce tutti, dentro e fuori lo Stretto.
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