Classe 1982, sezione C
Francesco Algeri è un professionista timido, uno di quelli che si sorprende quando riceve dei complimenti, nonostante il talento palese. Frequenta la sezione C del liceo classico La Farina, si laurea in Scienze della Comunicazione, diventa giornalista pubblicista ma la passione per la macchina fotografica parte dalle telecamere e dalle analogiche del padre.
«In casa giravano sempre macchinette fotografiche, videocamere. È stato mio padre a trasmettermi la passione e anche mio nonno, che comprava una serie di riviste tra cui National Geographic. Durante le feste o i compleanni ero il bambino con la macchina fotografica ma quando ci giocavo non pensavo che avrei fatto il fotografo, adesso se vado a ritroso penso che c’è sempre un filo conduttore».
Insieme alla fotografia, Francesco ha una passione irrefrenabile per la musica che lo accompagna anche adesso. «Avevo la fortuna di avere una sala prove in terrazza, luogo in cui sono nate le prime registrazioni con The Morning Light Project, gruppo nato a metà degli anni 2000. La musica non l’ho mai abbandonata, adesso suono fotogrando».
Francesco Algeri, ossessione luce
Francesco inizia a prendere sul serio la fotografia nel 2012 e da lì non si è più fermato. «Nel 2012 ho raccontato il rally di Taormina per un quotidiano messinese e da lì non ho più smesso. Mi considero un fotografo da strada e sono ossessionato dal cercare collegamenti tra i sogni e la vita. Mi capita di sognare dei luoghi e quando vado a fare delle foto cerco di ricreare quell’atmosfera».
Immagini – quelle che ferma Francesco con lo scatto – che raccontano storie, percezioni, contrasti netti, doppie esposizioni. «Amo fotografare la gente in contesti quotidiani. Quando scatto per strada non interagisco con il soggetto che voglio fotografare ma osservo e colgo determinate situazioni. Mi incuriosisce la luce». La luce, si sa, è linfa vitale per qualsiasi fotografo ma ognuno trova un suo modo di gestirla e utilizzarla. «Vado a scattare quando ci sono le giornate di super sole, con delle ombre nette, che normalmente eviti per altri versi. Mi piace giocare con questo contrasto. È davvero difficile da spiegare perché è un processo molto personale».
Uno stile, quello di Algeri, che si rifà a un linguaggio americano per narrazione e carattere. «Amo la fotografia di Alex Webb, di Bruce Gilden, di Bruce Davidson, di Guido Harari, un fotografo di musicisti italiani che dovrebbe essere riscoperto, ma anche il cinema di Tarantino e di Scorsese».
Da New Orleans a Chicago
Dopo aver scattato lungo la Route 66, dall’Illinois alla California, Francesco è tornato in America con il giornalista Gabriele Fazio per un progetto editoriale che vedrà luce nei prossimi mesi. «Siamo arrivati a New Orleans e da lì abbiamo risalito in macchina il Mississippi, percorrendo la U.S. Route 61 – detta anche Blues Highway – che attraversa gli Stati considerati patria del blues. Quindi dalla periferia siamo arrivati al grande palcoscenico di Chicago per raccontare gli artisti che abbiamo ascoltato in quei 15 giorni. A New Orleans suonano tutti, si riuniscono musicisti che magari tra di loro non si conoscono. La musica la respiri ovunque. Ho scattato circa 1.000 foto, che utilizzerò per cose diverse e 5 rullini».
Solo Roba Analogica
Si chiama “Solo Roba Analogica” uno dei lavori fotografici di Francesco Algeri dedicati – ovviamente – alla pellicola. «Per i progetti personali scatto solo in analogico perché – paradossalmente – per me è più facile. Per lavoro uso il digitale e mi ritrovo a gestire un sacco di file e step diversi. Con l’analogico ho già quello che mi serve, la pellicola mi consente di lavorare meglio con i contrasti che cerco e di essere più riflessivo, considerando gli scatti limitati del rullino. È un ottimo esercizio e poi la pellicola sarà sempre superiore al digitale».
No poser, please
Nel giro di pochissimo, Francesco vince premi e menzioni speciali, tra gli ultimi: Menzione d’onore nella categoria “Street Photography” al Chromatic Photography Awards e Menzione d’onore al Premio The Independent Photographer. «La macchina fotografica non sa quello che sta scattando quindi bisogna studiare. Ogni giorno approfondisco, sperimento, provo, guardo e osservo. Mi piace molto guardare la gente, forse sono un messinese fuori dal comune».
Sull’Isola che non c’è
Francesco ha girato un bel po’ ma è sempre tornato a Messina. «Mi piace questa città anche se a volte vorrei che ci fossero dinamiche diverse e più opportunità per chi fa un lavoro creativo come il mio. Quello che faccio lo mando fuori perché qui non trovo spazio. Alcune foto del Rione Taormina, per esempio, le hanno prese a La Stampa mentre qui c’è disinteresse. Mi hanno sempre insegnato che se ti prepari riesci a raggiungere i tuoi risultati, quindi non mi avvilisco. Cerco di dare il mio contributo alle piccole realtà interessanti della città come il Retronouveau». Insieme alle fotografie di strada, i reportage e i viaggi, Francesco Algeri è, infatti, il fotografo ufficiale del club musicale per eccellenza di Messina. «Prima c’era anche Mauro Kuma ma adesso sono da solo e ho deciso di dare un’impronta diversa agli scatti durante il concerto. Amo sperimentare e volevo spingermi oltre e cercare qualcosa di più vicino anche allo stile del Retronouveau. Utilizzo delle doppie esposizioni e dei prismi per raddoppiare l’immagine».
Come per raddoppiare il suono, ci viene da dire.
«Il mio intento è quello di dare movimento all’immagine, certo dipende anche chi c’è sul palco. Per esempio, The KVB che sono solo in due mi hanno dato delle grandi soddisfazioni. Fotografare la musica mi viene molto naturale e mi piace molto. Vorrei coprire gli eventi musicali più importanti, fra tutti: il Primavera Sound, il Glastonbury, il Coachella e mi piacerebbe tantissimo – anche se c’entra poco con la musica – fotografare il Burning Man, un festival di otto giorni che si svolge ogni anno dal 1991 a Black Rock City, una città che vive solo alcuni giorni, sulla distesa salata del Deserto Black Rock nello Stato del Nevada».
(La foto di Francesco Algeri è stata scattata da Giovanni Belardi)
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