“Carmen” a Taormina, intervista al tenore Giancarlo Monsalve

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Monsalve - foto di Nicoletta-Cerasomma«Un uomo passionale dal carattere turbolento e con un passato dal quale fuggire». Questi, secondo il tenore Giancarlo Monsalve, i tratti salienti di Don José, protagonista maschile della Carmen di George Bizet, che andrà in scena il 15 luglio – repliche 1-7-10-13 agosto – al Teatro Antico di Taormina con regia e scene firmate da un artista di fama internazionale come Enrico Castiglione,.

Giancarlo Monsalve – acclamato nei teatri di tutto il mondo, dalla Royal Opera House Covent Garden di Londra alla Washington National Opera – torna quest’anno a Taormina, dopo il grande successo ottenuto nel 2014 con Tosca, ennesimaproduzione di alta qualità targata Castiglione, in cui interpretava il romantico pittoreCavaradossi. «Sono felicissimo di poter tornare ancora una volta nella Perla dello Jonio e di cantare nuovamente sul meraviglioso palcoscenico del Teatro Antico, davanti ad un pubblico che lo scorso anno si è dimostrato molto caloroso nei miei confronti e di tutto il cast»

Insieme a lui sulle pietre della cavea taorminese, il maestro Castiglione ha voluto il mezzosoprano Elena Maximova, tra le più quotate al mondo nel ruolo del titolo e il rinomato Michael Bachtadze in quello del torero Escamillo. Si rinnova, inoltre, il sodalizio artistico che lega il regista e scenografo alla costumista Sonia Cammarata: al suo estro artistico, infatti, è affidata la realizzazione degli abiti di scena creati appositamente per questo nuovo allestimento, mentre alla direzione dell’orchestra del Taormina Opera Festival ci sarà Myron Michailidis, uno dei più illustri direttori d’orchestra greci.

Monsalve, tenore eroico classe 1982, nel corso della sua prestigiosa carriera ha interpretato i ruoli più importanti dell’universo operistico: da Calaf (Turandot) a Mario Cavaradossi (Tosca), passando per Don Carlo (Don Carlo), Turiddu (Cavalleria rusticana), Radamés (Aida), Pollione (Norma) e Manrico (Il trovatore). Quello di Don José, però, sembra proprio essere uno dei suoi preferiti in assoluto, come ci conferma lui stesso durante una pausa delle prove al Teratro Antico.

– Lei ha interpretato Don José svariate volte, ormai lo conosce molto bene. Quale crede sia l’aspetto che definisce al meglio questo personaggio?

Quello che mi colpisce ogni volta che mi ritrovo a vestire i suoi panni, è la sua estrema complessità, ha un background molto complicato che viene solo debolmente accennato nell’opera, ma è ciò che fa di lui Don José. Non tutti sanno che quello di Carmen non è il primo omicidio da lui compiuto: il giovane soldato si trova in Siviglia perché nella sua città natale, Navarra, aveva ucciso un uomo che lo aveva imbrogliato al gioco delle carte, e si è visto quindi costretto a fuggire via per evitare la prigione. A Siviglia imbriglia se stesso in un estremo autocontrollo, finge di essere buono e pacifico, ma in realtà dentro di lui arde un fuoco fatto di rabbia e impulsività dal quale non può fuggire per tutta la vita. Proprio per questo lui è il personaggio che cambia di più nel corso dell’opera, anche se non si tratta di un vero e proprio cambiamento, ma di uno svelamento: più andiamo avanti e più ritorna a essere quello che era prima dell’inizio della storia a cui assistiamo. A tutti sembra una persona riservata, ma la verità è che sta semplicemente fingendo, cerca di tenere calmo il vulcano che ribolle dentro di lui e che Carmen riesce pian piano a far emergere: peccato però che non si tratti di un’innocua vivacità, ma di un’insana follia. Proprio nel finale capiamo che non vuole che lei stia con un altro perché ormai non ragiona più lucidamente, soltanto un pazzo potrebbe uccidere una donna: alla bella sigaraia dice “aiutami a salvarti e a salvare me stesso con te”. Secondo me lui è semplicemente bipolare: teneva a bada il suo mostro interiore tanto da essere considerato un uomo tenero, ma alla prima occasione è tornato ad essere un mostro. Dal punto di vista artistico, però, è un personaggio che ha davvero tutto: vocalmente, fisicamente e psicologicamente èmolto affascinante, adoro interpretare Don José».

E dal punto di vista vocale, quali sono le sfide maggiori nell’affrontare il ruolo?

Solitamente si dice che ci vogliano due tenori diversi per poter interpretare Don José: sarebbe necessario avere un tenore lirico all’inizio dell’opera, mentre dal terzo atto in poi ce ne vorrebbe uno drammatico. La sfida più grande consiste proprio in questo:riuscire ad essere entrambi. Quel che è fondamentale, è trovare un punto d’equilibrio, ottenere sia la dolcezza del primo atto che la furia dell’ultimo: anche la voce deve seguire il suo sviluppo emotivo, trovando un compromesso tra delicatezza e delirio.

Quale battuta, secondo lei, inquadra meglio un personaggio così sfaccettato?

Vista la sua natura poliedrica, è difficile trovare una sola battuta che possa identificarlo appieno. Credo che un momento che aiuti a capire chi è veramente Don José, sia il duetto con Micaela, in cui le chiede di riferire alla madre che suo figlio la ama, la venera, che si pente ogni giorno di quello che ha fatto e che non vede l’ora di renderla nuovamente orgogliosa di lui e tornare da lei. Questa frase è importante in quanto dice tutto: se la ama così tanto perché non può tornare da lei, perché vuole renderla di nuovo orgogliosa? Lì c’è tutto il background, inespresso, di Don José.

Quanto è importante, a suo avviso, l’ambientazione sivigliana in Carmen? Crede che se la medesima storia fosse stata ambientata in un luogo meno ‘caliente’ avrebbe avuto minor successo?

Sono convinto che l’ambientazione sivigliana sia assolutamente fondamentale. Nel caso di Carmen, Siviglia è essa stessa un personaggio dell’opera, con i suoi colori e i suoi suoni. Nonostante il testo sia scritto in francese, la natura profonda del plot èspagnola, la sua essenza è alimentata da quell’atmosfera passionale che solo la penisola iberica può offrire. E poi, non bisogna dimenticare che Bizet ha scritto la musica avendo in mente solo e soltanto la Spagna, ogni nota dello spartito trasuda l’anima sivigliana.

Il maestro Castiglione è un regista molto esigente, com’è lavorare con lui sul palcoscenico?

Mi sono sempre trovato favolosamente bene con Enrico Castiglione, ci siamo capiti sin dal primo momento. Sono contento di lavorare con lui, tra di noi c’è questa connessione che è difficile da spiegare a parole: ci capiamo al volo, quando lui dice qualcosa io la recepisco immediatamente, non va sempre così con i registi. Spesso c’è bisogno di parlare molto, di analizzare, invece con Enrico è tutto molto immediato: si intuisce subito che lui sente davvero ciò che vuole fare con noi cantanti sul palco. Ed è proprio questo che secondo me la gente apprezza, perché avverte che c’è amore per quello che si sta facendo, si vede che lui ama sul serio la sua professione.

La “liaison dangereuse” tra Don José e Carmen è simile a quella di coppie tormentate che, purtroppo, finiscono sulle pagine della cronaca nera. Lei, da uomo e da uomo sposato, cosa pensa del femminicidio?

Non saprei veramente spiegare come sia possibile arrivare ad un punto di follia tale da uccidere la persona amata, perché in quel caso non è più possibile parlare d’amore. Se uccidi la persona che dici di amare perché ti ha tradito o ti ha lasciato, vuol dire che non la ami, che sei molto egoista e hai bisogno di aiuto perché soffri di problemi mentali davvero gravi e profondi. Personalmente, non penso che Don José provi un amore puro per Carmen, quell’amore vero che ti porta a progettare il futuro, a costruire una famiglia e a voler dei bambini. La sua è piuttosto un’ossessione mischiata ad unacotta a prima vista, è stata tutta una questione di chimica, un’attrazione che, unita al suo background psicologico, ha portato all’esplosione.

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