Emilio Isgrò, dalla Vela alle cancellature: «Della Sicilia mi manca perdere tempo»

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Poeta, drammaturgo, regista: Emilio Isgrò è uno degli artisti più complessi del nostro tempo. Nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1937, Isgrò è noto per le sue “cancellature“. Segni netti e precisi che hanno accompagnato tutto il suo percorso di pensatore contemporaneo: dal 1964 ad oggi, per la 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in cui l’artista siciliano ha presentato “La Vela“. Così, in occasione del festival cinematografico, abbiamo avuto la possibilità di parlare con il Maestro; di arte, di politica e anche dell’Isola, dalla quale proviene.

Da Venezia all’Isola, in viaggio con Emilio Isgrò

Un viaggio immaginato più volte, da quando al MACHO, Museo di Arte Contemporanea Horcynus Orca di Messina, abbiamo visto le formiche di Emilio Isgrò arrampicarsi su un pianoforte bianco, o ancora quando osservavamo quelle pagine enciclopediche segnate dalle sue cancellature. Le stesse che ritornano su “La Vela” che l’artista realizza per celebrare Pier Paolo Pasolini, nel centenario della sua nascita, presentata a L’Isola Edipo.

“La Vela” installata a bordo della storica Edipo Re ha navigato in Laguna, e spinta dal vento si è fatta portatrice di un’unica parola, quella che non è stata cancellata: “Edipo Tiranno”, Maestro perché? «Per evocare il film tratto da Sofocle che in qualche modo dà il nome alla stessa barca di Pasolini, quindi non c’era altro da fare che cancellare proprio l’Edipo di Sofocle; il cui titolo greco è appunto Oidípūs týrannos, Edipo Re, non necessariamente tiranno nel senso contemporaneo. Ho fatto emergere quasi simbolicamente un mondo di re, che se poi con gli anni si sono trasformati in tiranni, e oggi accade spesso, c’è da pensarci come spesso il potere degeneri». (In foto Emilio Isgrò, in un ritratto di Luisa Porta)

L’arte sperimentale

Emilio Isgrò ha contribuito alla nascita dell’arte concettuale in Italia (definizione che venne data dallo statunitense Joseph Kosuth, autore di “One and Three Chairs”), esplorando agli inizi degli anni ’60 un nuovo linguaggio che potesse esprimere idee più complesse, più intime, più elaborate. Isgrò in diverse interviste racconta che le “cancellature” sono nate durante il suo lavoro di giornalista al “Gazzettino” di Venezia, nel 1964, mentre editava gli articoli. Correggendo le bozze si accorgeva che quelle cancellature in nero stavano raccontando qualcosa, una sorta di ostacolo; «tra noi e l’immagine mediatica», dirà Isgrò in diversi interventi. Un gesto che si distaccava dal sistema che tendeva all’omologazione.

Oggi, a distanza di quasi 60 anni, ci chiediamo se nel mondo dell’arte c’è ancora qualcosa di sperimentale o provocatorio. «Oggi – ci dice ancora Isgrò – di sperimentale non c’è più niente, nel senso che il mercato si è impossessato di quei meccanismi culturali che un tempo producevano conoscenza per tutti noi e oggi, molto spesso, producono più che arte dei gadget adatti ad adornare le case, che vengono chiamati prodotti di punta, di avanguardia, anche quando di sperimentale non hanno niente».

Le cancellature di Emilio Isgrò

Da “I Promessi sposi cancellati per venticinque lettori e dieci appestati” (2016) al “Codice ottomano della solitudine” (2010), passando da “Mutter” (1983), Emilio Isgrò ha fatto delle sue “cancellature” la sua cifra stilistica, riconoscibile in tutto il mondo. In diverse interviste ha detto che le cancellature sono uno strumento per costruire nuove immagini; qual è il cambiamento che vorrebbe vedere Emilio Isgrò? «Non voglio vedere nessun cambiamento, né ne ho visti mai, anche se il mondo evidentemente cambia continuamente sotto gli occhi. Perché se io vedo i cambiamenti significa che non vivo più. I cambiamenti non li si vede mentre si vive e si lavora. I cambiamenti si vedono alle distanze. Se io penso agli anni della mia giovinezza quante cose sono cambiate, però non mi sono accorto che il mondo era cambiato. Certo se vedo come gira la politica, soprattutto quella internazionale, siamo tornati a forme di guerra addirittura calde, prima si chiamavano fredde. In questo non è cambiato niente, c’è sempre guerra nel mondo. Noi europei abbiamo avuto l’illusione di una pace, anche perché le guerre si facevano altrove, oggi purtroppo le guerre sono anche a casa nostra». (“Brixia come Atene” foto di Ela Bialkowska OKNO studio)

La Sicilia di Emilio Isgrò

Maestro, l’ultima domanda. C’è qualcosa che le manca della Sicilia? «No, perché la Sicilia ce l’ho sempre con me. Se poi devo dire qualcosa che non si esaurisca in una boutade, mi mancano le mattinate pigre, quando vedevo gli amici non necessariamente per fare qualcosa, ma magari per discutere, e diciamolo pure per perdere tempo. Una perdita di tempo creativa, perché si progettavano le cose tra amici».

Tra le ultime opere di Emilio Isgrò “Quel che resta di Dio” (Edizione Guanda, 2019).

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