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È morta Monica Vitti. L’attrice aveva vissuto a Messina: «Dalla mia casa si vedeva il porto»

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La splendida e unica Monica Vitti è morta oggi, mercoledì 2 febbraio, all’età di 90 anni. Una vita costellata di successi, storie, grande schermo, ma anche sofferenze legate alla sua malattia che l’aveva allontanata dalle scene. Per certi versi, anche Messina è legata all’attrice romana; perché durante l’infanzia ha trascorso del tempo nella città dello Stretto. A raccontare Messina è proprio Monica Vitti nel suo “Sette Sottane” libro autobiografico, uscito nel 1993, in cui racconta il suo amore per il teatro, per il cinema, quel luogo di libertà e gioco, ma anche della sua famiglia in Sicilia.

«Da piccola – scriveva la Vitti mi chiamavano Sette Sottane, perché in Sicilia, dove vivevamo noi, non c’era il riscaldamento d’inverno e mia madre mi copriva di maglie, magliette, sottanine, vestitini e grembiulini. Non mi davano noia, anzi, ne ero orgogliosa e quando veniva qualcuno a trovarci, dicevo: ‘Vede, io ho sette sottane: una, due, tre, quattro…” mia madre non mi faceva mai arrivare alla settima perché diceva che era una vergogna tirarsi su le gonnelline».

Monica Vitti e la casa a Messina

E poi ancora, parlando della casa di Messina; «la nostra casa era in alto e si vedeva il porto. Era piuttosto grande. Stretta e lunga, con un corridoio che la attraversava tutta. Sai cosa mi è successo in quel corridoio? Allora: c’è questo corridoio stretto e lungo, con porte a destra e a sinistra. Alcune sono chiuse a chiave, altre socchiuse e lasciano passare una spada di luce che finisce sul pavimento. In fondo c’è una porta aperta. Anche da lì viene un po’ di luce. Io sono piccola, ho quattro o cinque anni. Ho un grembiule celeste con un colletto bianco, è più corto del vestitino che ho sotto che è di lana. Ho i calzini corti, uno è andato sotto il tallone. Le scarpe sono nere, lucide, hanno il cinturino e il bottone a pallina.

Ho i capelli tagliati all’altezza delle orecchie e una grande frangia. Sono con le spalle al muro, come se qualcuno mi spingesse, non posso camminare. I battiti fortissimi del cuore mi rimbombano nelle orecchie. Sto tremando e non riesco né ad urlare, né a piangere. Dalla porta in fondo esce un braccio, quello di mio fratello Franco che poggia in terra un mostro: un’enorme aragosta rossa e gialla con gli occhi in fuori. Ha il corpo di un grande ragno. Le chele si muovono lentamente. Avanza dritta verso di me. Mio fratello rientra in cucina e richiude subito la porta».

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