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Perché la “Buona Scuola” non piace. Lo spiega un docente

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La “Buona Scuola” evidentemente non sembra buona a tutti, come dimostrato dalla manifestazione di docenti e studenti di qualche tempo fa.

I motivi del malcontento sono tanti. L’invito al dialogo del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è stato colto da un docente di Capo d’Orlando che ha deciso di scrivere a Renzi una lettera che riporta tutte le sue personali considerazioni sull’argomento.

La riportiamo di seguito.

” Gentilissimo Presidente del Consiglio Dott. Matteo Renzi,

La ringrazio della Sua mail, che saluto come un gesto di apertura e dialogo. Tuttavia le Sue parole, per quanto pacate e apprezzabili, non valgono a dissipare le mie personali perplessità sulla Sua riforma della scuola. Le chiedo quindi qualche minuto del Suo tempo per poterLe esporre, sine ira et studio, il mio punto di vista. Spero Le interessi, così come spero che questa mail raggiunga Lei personalmente e non si fermi ad uno dei molti collaboratori ai quali avrà probabilmente demandato la gestione di questa corrispondenza.

Lei dice che gli scontri e le tensioni non giovano al dialogo. Ha ragione. Ma non ricordo di averLa sentita censurare il Ministro dell’Istruzione quando ha definito “squadristi” i miei colleghi che la contestavano – scelta assai infelice, spero ne converrà, linguisticamente e storicamente. Né ricordo che Lei abbia espresso disappunto per l’atteggiamento sprezzante di alcuni ministri e sottosegretari del Suo governo nei confronti della categoria cui mi onoro di appartenere; atteggiamento che è documentato in sequenze video e articoli apparsi sulla stampa, e per quanto ne so non è stato oggetto di alcuna palinodia o smentita. Ora, Signor Presidente, La prego di considerare che noi insegnanti, con tutti i nostri limiti, siamo donne e uomini di scienza, che del sapere hanno fatto la loro professione; e vedere in posizioni apicali della struttura ministeriale del Suo governo alcuni soggetti che – a quanto riferito dagli organi di stampa – non avrebbero i titoli culturali neppure per esercitare la professione che noi esercitiamo, e che ciononostante si avventurano in giudizi e valutazioni a volte poco lusinghieri sul nostro operato, non è la miglior premessa per un dialogo sereno. Quanto ai sindacati, non sono perfetti, è vero, e hanno più d’una responsabilità storica rispetto allo stato in cui versa la scuola italiana. Ma credo che ogni dialogo debba presupporre il rispetto e la reciproca legittimazione, e mi piace qui ricordare che i nostri rappresentanti sindacali sono stati da noi scelti, a tutti i livelli, con elezioni in cui abbiamo espresso preferenze: il che è più di quanto possano dire attualmente i parlamentari italiani e – non me ne voglia – Lei stesso.

Ma parliamo del contenuto della Sua lettera. Tralascio per ovvi motivi le misure per le quali il Governo prevede di ricorrere alle leggi-delega, e mi limito, anche per non abusare del Suo tempo, a qualche osservazione:

– trovo curiosa l’immagine del Dirigente Scolastico come primus inter pares. Forse lo era il Preside, ma non certo il Dirigente. Se c’è una tendenza in cui tutti i governi sono stati coerenti, indipendentemente dal colore politico, almeno dalla legge Bassanini in poi, è quella di separare il più possibile la figura dirigenziale dal corpo docente, dando al DS un profilo manageriale che di fatto lo rende una controparte degli insegnanti. Si aggiunga che il progressivo dimensionamento degli Istituti scolastici e l’abuso della reggenza hanno creato situazioni in cui un dirigente ha anche sei o sette plessi e deve amministrare scuole di gradi e tipologie affatto diversi: che primus inter pares pensa che potrebbe mai essere in queste condizioni? Lo sarebbe veramente se le scuole avessero dimensioni più ridotte e se questo Agamennone scolastico venisse eletto dai docenti – ma so bene che una cosa del genere non avverrà mai. Per soprammercato, anche lo staff della dirigenza è scelto dal DS, senza che il corpo docente possa esprimere le sue preferenze. Chi lavora nella scuola sa che i Dirigenti migliori sono quelli che ancora si sentono Presidi, ossia che non hanno dimenticato d’esser stati insegnanti. L’istruzione e la cultura “manageriale” non vanno, né andranno mai d’accordo, specialmente se sull’altare della managerialità si sacrifica la didattica.

– Ella sostiene di voler valorizzare “la formazione umanista (sic: è ovviamente un refuso per “umanistica”) e scientifica”. Non ho motivo di dubitare della Sua parola, naturalmente. Però mi chiedo cosa Ella pensi delle recenti esternazioni del Dott. Serra, che apprendo dalla stampa esserLe molto vicino, sulla presunta morte della cultura umanistica, rea di non essere tanto cool quanto un tablet. A Lei invece chiedo: cosa pensa dei tagli operati dalla riforma Gelmini? Conviene con me che erano dettati solo da motivi economici oppure ritiene che si fondassero su argomenti scientifici? E se conviene con me, perché nella Sua riforma non c’è il ripristino delle ore cancellate da quella riforma e non c’è, per esempio, l’abolizione di quell’ircocervo della didattica che è la “Geostoria”? Inoltre, perché la Sua riforma rimane afasica sulla questione delle classi-pollaio? Sono lietissimo dell’assunzione di migliaia e migliaia di colleghi precari, e umilmente Le segnalo un possibile modo di impiegarli: stabilisca che in ogni classe non vi debbano essere più di venti, ventiquattro studenti al massimo, e ancor meno in caso di studenti diversamente abili. Il nuovo personale sarà immediatamente assorbito e il servizio erogato senz’altro migliore. Se occorreranno nuove aule e plessi, si potranno costruire con i cospicui fondi stanziati per l’edilizia scolastica.

– Riguardo alla valutazione del merito dei docenti, non riesco a condividere il Suo entusiasmo riguardo alla chiamata diretta da parte dei DS. Quanti di loro saranno così onesti intellettualmente da preferire docenti in gamba, ma proprio per questo pronti anche al dissenso, a figure più mediocri, ma più accomodanti? Vale davvero la pena di introdurre nuovi elementi di conflittualità in un ambiente già così complesso come quello scolastico? A parer mio si possono trovare dei sistemi per rendere più equo il riconoscimento delle qualità culturali e professionali dei lavoratori della scuola senza alterare la sostanza dell’attuale meccanismo delle graduatorie e dei punteggi, che è perfettibile come ogni altra cosa, ma almeno ha un fondo di equità. Per esempio, Lei ritiene equo che un docente che consegue un Dottorato di Ricerca si veda assegnati solo 5 punti contro i 12 di un anno scolastico di servizio regolare? Quale azienda privata penalizza così un dipendente che si è specializzato in un ambiente di alta formazione? E ancora, Lei trova giusto che un master online a pagamento (!) sia valutato 3 punti contro i 5 del Dottorato? Gli strumenti per mandare a casa chi non lavora esistono già, basta applicarli; è necessario invece occuparsi di chi lavora bene e anche delle eccellenze, senza mortificare tutti con un appiattimento verso il basso. E soprattutto, per ridare dignità alla professione docente, è necessario che ci paghiate tutti di più. Non che ci paghiate di più e ci facciate fare più ore, ma che ci paghiate di più ad ore invariate. Perché noi lavoriamo molto più di quello che molti pensano – e tra quei molti purtroppo devo annoverare parecchi uomini politici.

La lascio al Suo lavoro, Presidente Renzi, sperando che Ella vorrà dedicare due minuti a leggere questa mia.

Cordialmente

Massimo Raffa

Docente di Materie Letterarie, Latino e Greco
Liceo Scientifico con annessa sezione classica “Lucio Piccolo” – Capo d’Orlando (ME) “

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