Una scritta razzista a Messina, un’altra, questa volta nella salita che da Granatari porta alla Panoramica. È “comparsa” da almeno una decina di giorni, spray nero sul muro bianco, ma nessuno sembra essersene accorto o aver pensato di fare qualcosa per rimuoverla. Così rimane lì, su quel muro, e grida il suo odio, accompagnata da una svastica che ne amplifica il messaggio.
Non è la prima a Messina, certo non è la prima in Italia, e chiunque abbia acceso la televisione negli ultimi mesi o aperto un qualsiasi social network, a partire da Facebook, non può dirsi stupito che frasi del genere inizino a oltraggiare i muri delle città. L’asticella di ciò che si può o non si può dire si è alzata, certi linguaggi sono stati sdoganati, legittimati da un discorso pubblico sempre più aggressivo, che strilla e divide. Italiani e “clandestini”, bianchi e neri, “noi” contro “altri”, in una guerra continua.
E il fatto che sia la terza scritta razzista a comparire in città – o quantomeno a essere vista e segnalata – è preoccupante, e si somma ad altri episodi ugualmente stigmatizzabili: lo sfregio al Monumento ai Caduti della Passeggiata a Mare, la scritta sotto la targa dedicata a Falcone e Borsellino in via XXIV maggio. Messaggi d’odio, ma anche di sfiducia e disprezzo verso le istituzioni, la storia e i simboli che la rappresentano. Quale che sia la direzione verso cui è rivolta la violenza, verbale ma non solo, sembra stia diventando la cifra distintiva – e distruttiva – dei nostri tempi.
Ma, al di là del momento di giusta indignazione, dei tentativi di rimozione fisica delle scritte, le parole impresse sui nostri muri devono farci fermare. Devono spingere oltre, devono essere prese sul serio. Chi rimuove o cancella, giustamente, chi denuncia, deve poi fare il passo successivo: deve farsi domande, mettere in discussione, cercare di capire perché, e cosa fare per cambiare le cose. Perché questi messaggi appaiono sempre più forti, perché l’Italia si è risvegliata, a un tratto, così aggressiva, perché un discorso diverso non riesce a passare e a imprimersi allo stesso modo, ad essere altrettanto diffuso.
Perché “la gente si indigna, si impegna; poi getta la spugna con gran dignità”, e si ferma a questo. Forse è il momento di andare oltre questa indignazione temporanea, passeggera, effimera, e cominciare a far sentire una voce diversa, in qualche modo controcorrente.
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