Oggi, venerdì 7 febbraio, è la giornata mondiale contro bullismo e cyberbullismo, fenomeno purtroppo sempre più diffuso di cui sono vittime migliaia di adolescenti e pre-adolescenti in tutto il mondo. Per capirlo meglio e, soprattutto, comprendere come arginarlo, abbiamo interpellato il professor Francesco Pira, docente dell’Università degli Studi di Messina (UniMe) ed esperto di sociologia dei processi culturali e comunicativi.
Il vocabolario Treccani definisce il bullismo come un “atteggiamento di sopraffazione sui più deboli, con riferimento a violenze fisiche e psicologiche attuate spec. in ambienti scolastici o giovanili”. Ed evidenzia nel cyberbullissmo una sua variante “virtuale, compiuta mediante la rete telematica”. Vale a dire internet, gli smart phone, i social network. Secondo i dati Istat diffusi a marzo 2019 ma riferiti a una rilevazione effettuata nel 2014, oltre il 50% dei ragazzi intervistati è stato vittima di bullismo nell’anno precedente. Di questi, circa il 22% ha subito cyberbullismo.
Per comprendere meglio il fenomeno, abbiamo interpellato un esperto in materia di social network, bullismo e cyberbullismo, il professor Francesco Pira, docente presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (DICAM) dell’Università degli Studi di Messina, che ha svolto e svolge attività di ricerca nell’ambito della sociologia dei processi culturali e comunicativi. Da tempo ha intrapreso una battaglia personale contro il bullismo, il cyberbullismo, il sexting, le fake news e la violenza sulle donne, dedicandovi ricerche, tenendo seminari in Italia e all’estero indirizzati a studenti, docenti e genitori.
L’onorevole Carmelo Pullara, componente della V Commissione, ha proposto, al Presidente onorevole Luca Sammartino, di convocare in audizione il prof. Francesco Pira, all’ARS (Assemblea Regionale Siciliana), dove il 12 febbraio verrà ascoltato come esperto sul cyberbullismo in vista dell’emanazione di una legge regionale finalizzata a contrastare il fenomeno. Oggi, in occasione della Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo gli abbiamo posto qualche domanda.
Prof. Pira, cos’è il cyberbullismo e in cosa si differenzia dal bullismo?
«A volte c’è un eccessivo allarmismo, perché oggi definiamo cyberbullismo anche una semplice provocazione. Non riusciamo a definire esattamente il fenomeno. Si tratta di prevaricazioni, di violenze che avvengono anche fisicamente, che possono essere riprese e che poi costituiscono una base fortissima di violenza psicologica nei confronti degli individui.
Questa definizione, che è nata nel momento in cui c’è stata una fortissima diffusione delle nuove tecnologie, oggi ha tante piccole pieghe che naturalmente riguardano anche l’uso non consapevole delle nuove tecnologie. Se diamo una lettura degli ultimi dati è allarmante il fatto che il 33% di quello che definiamo cyberbullismo è sexting e quindi la pubblicazione di immagini erotiche, pornografiche che riguardano soprattutto minori e che vengono usate poi anche per ricattare. Oggi è cyberbullismo anche un gruppo di ragazzi che si sentono forti e decidono di non far entrare in un gruppo whatsapp un altro ragazzo o un’altra ragazza che si sente debole.
C’è poi un altro dato che sicuramente è interessante da condividere. Mentre all’inizio pensavamo che il cyberbullismo fosse un fenomeno che riguardava soltanto i maschi, oggi ci sono molte ragazze, anche in gruppo, che esercitano questo tipo di violenza».
Come si può capire se un ragazzo è vittima di cyberbullismo?
«È molto difficile, perché dipende dal carattere della persona che subisce. Alcuni lo fanno in silenzio, altri cadono in uno stato depressivo, altri cercano di protestare, di rispondere e pagare con la stessa moneta, spesso senza riuscirci. Il problema è che spesso le famiglie non riescono ad intercettare questo disagio, e lo stesso vale per le scuole. Quando i ragazzi o le ragazze che subiscono cyberbullismo si sentono completamente soli o abbandonati dalla società le reazioni possono essere molto diverse e possono portare anche al suicidio».
Cosa si può fare per contrastare il cyberbullismo?
«Purtroppo siamo un paese che tenta di risolvere sempre le cose con una legge, oppure interviene solo ed esclusivamente quando c’è un fatto di cronaca clamoroso. Se ci sono quattro ragazzini che vanno a fare un selfie estremo sulle rotaie di un treno, allora cominciamo a capire che c’è un problema con i selfie estremi. Non c’è mai un percorso organico.
Il modo migliore per combattere il cyberbullismo, l’ho sempre sostenuto, è partire dal basso, mettere insieme istituzioni, famiglie e scuola per cercare di fare progetti e cercare di lavorare anche sul quotidiano per prevenire questa deriva dell’uso delle tecnologie, che è terribile.
In questo periodo è passata anche in Parlamento la necessità di un insegnamento, soprattutto nell’età pre-adolescenziale e adolescenziale, relativo all’educazione alle emozioni e all’uso consapevole delle nuove tecnologie. È un percorso che è appena iniziato, bisognerà vedere il mondo della scuola, le famiglie come reagiranno, ma è l’unica strada praticabile.
La legge sul cyberbullismo è stata fatta, alcune iniziative sono state adottate, ma purtroppo c’è tutta una serie di problemi: la carenza di fondi; la mancanza di professionalità adeguate; i genitori che iniziano a comprendere questi problemi solo quando la cosa li riguarda direttamente. Tutto questo scollamento, gli scontri tra scuola e famiglia, ci fanno capire che non siamo sulla strada giusta e inseguiamo il fatto di cronaca».
In quanto docente, cosa direbbe ai cyberbulli e cosa, invece, alle loro vittime?
«Parlo tutti i giorni con ragazzi che possono essere potenzialmente vittime, o che sono vittime, o con bulli. Dico che fare il bullo non è una novità, non è una cosa che stiamo scoprendo oggi. Se andiamo a chiedere, scopriamo che ognuno di noi ha subito o ha tentato di fare il bullo in qualche momento della sua giovinezza. Quando faccio incontri nelle scuole i ragazzi mi chiedono sempre “ma lei è stato bullizzato?”, ognuno di noi ci è passato.
Il problema con il cyberbullismo è che non circoscritto all’interno di una classe, di una scuola, di un quartiere come avviene con il bullismo. Il cyberbullismo è un fenomeno terribile perché proietta delle violenze che possono essere fisiche o psicologiche, a livello mondiale. Il tipo di nuova concezione dei social network può alimentare situazioni molto pericolose. Penso in particolare al social network cinese Tik Tok, nato nel 2016, dove la parola d’ordine è challenge (sfida); e queste sfide molte volte sono pericolose. Una forma di cyberbullismo è anche chiedere a delle persone di accettare una sfida impossibile per entrare a far parte di un gruppo, sapendo che non ce la potranno fare.
Al cyberbullo dico: “Stai attento, fai il cyberbullo perché sei protetto dall’anonimato o da alcune persone che ti affiancano perché ti senti forte. Ma poi, come ci racconta la Polizia Postale, come ci raccontano le Forze dell’Ordine, di fronte a un’intercettazione questi cyberbulli diventano delle animelle e piangono dicendo che loro stavano scherzando”.
Penso che le vittime debbano cercare di parlare sempre, non con i loro pari, ma con gli adulti. Perché gli adulti possono dare dei consigli che poi diventano fondamentali per un percorso di recupero e di riscatto rispetto a una situazione in cui si è surclassati».
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