Sono tre gli attivisti, No Muos e Teatro Pinelli, partiti da Messina e diretti nella città curda di Suruc per portare aiuti ai rifugiati del Rojava che combattono i gruppi dell’Isis. I tre, due donne e un uomo, sono partiti nell’ambito di una staffetta italiana di volontari.
«Dopo vari giorni di attesa a Kobane, finalmente – fanno sapere gli attivisti –, si creano le condizioni per poter incontrare le donne combattenti, in lotta contro Isis. Entriamo nella loro “casa”, nella loro base operativa, luogo in cui condividono emozioni, organizzano le battaglie. Presenti con noi due traduttori. Veniamo accolti in una piccola sala riscaldata, allestita con foto di martiri donne e uomini. Chiediamo: “Chi è?”, indicando una gigantografia di un volto femminile combattente. Una appartenete alla Ypj (Unità di protezione delle donne) risponde “È una nostra martire, di qualche anno fa. Di lei mostriamo solo l’immagine”. Ci sediamo a terra, in cerchio, e iniziamo a parlare. Inizialmente sono presenti cinque donne. Tre di loro più eloquenti; in due rimarranno fino alla fine dell’incontro».
Riceviamo e pubblichiamo di seguito le domande che gli attivisti hanno posto alle donne combattenti curde.
Perché hai fatto questa scelta di entrare nelle Ypj?
“Perché le donne sono sofferenti. Vediamo la sofferenza delle donne non solo qui ma anche nei vostri Paesi. Noi lottiamo per tutte le donne del mondo. Io in particolare sono nata in Germania, sono stata in giro per l’Europa e in uno di questi Paesi ho fatto giorni di reclusione in prigione per motivi politici. Poi, ho deciso di venire qui in Kurdistan e anche le mie amiche sono tutte venute qui. Ho letto gli scritti di Öcalan e dopo ciò ho assunto uno sguardo più globale”.
Perché sei venuta in Kurdistan?
“Perché voglio la rivoluzione.”
Cosa intendi per rivoluzione e perché pensi che il Kurdistan sia particolarmente significativo da questo punto di vista?
“Conoscete forse qualche altro movimento nel mondo che chieda la libertà per il popolo curdo?”
La tua famiglia, come ha accolto questa scelta?
“Io ho 28 anni. Combatto da 7. La mia famiglia è venuta con me quando ho deciso di partire e ora è qui. In questo momento non ho nessun contatto con la mia famiglia. Ma quando ho preso questa decisione loro hanno approvato, perché era una scelta per tutte le donne e per un’umanità sofferente.”
Ci sono donne non di Kobane nelle Ypj in questo momento?
“Tra le combattenti ci sono donne da tutta l’Europa: Germania, Inghilterra, Italia… anche dalla Colombia. Ma in questo momento non combattono a Kobane.”
Come hai conosciuto le Ypj?
“Quando è iniziata la rivoluzione in Rojava ho saputo di questa parte speciale del movimento. Questa parte presente in tutto il movimento curdo. Anche lì dove ci sono i peshmerga, nonostante la loro presenza, lì è persino più forte il movimento combattente femminile.”
Come vivi il fatto di non avere relazioni? E cosa pensi delle relazioni lesbiche?
“Se scegli di entrare nelle Ypj, scegli di abbandonare le tue personali relazioni d’amore. Le relazioni lesbiche sono anch’esse relazioni d’amore. Se ami la persona con cui stai puoi anche scegliere di abbandonarla per amore dell’umanità tutta, per amore delle persone oppresse. Questa è la parte militare del movimento. Se scegli di combattere è impossibile farlo mentre pensi “Cosa farà la persona che amo se muoio?”. Per questo stesso motivo la maggior parte di noi sceglie anche di non avere figli.”
Secondo voi perché tra le persone che attualmente combattono in Kurdistan ci sono più Ypj che Ypg?
“Tra le donne c’è il sentimento materno. Vedere i bambini di tutto il mondo soffrire ci rende più forti e coraggiose, a differenza degli uomini che non possiedono questo specifico istinto.”
Hai mai avuto dubbi rispetto alla voglia di essere madre?
“No. Noi non abbiamo mai perso la voglia di essere madri, ma questo desiderio di maternità, questo amore, sono rivolti a tutti i bambini, a tutta l’umanità. Non è mai successo che una Ypj cambiasse idea e avesse voglia di uscire dal movimento e avere dei figli. Oggi, le donne in Kurdistan stanno scrivendo la storia.”
Cosa pensate quando siete in frontline a combattere insieme agli uomini?
“Noi in frontline non combattiamo solo contro il nemico, ma anche contro il dominio dell’uomo sulle donne e contro il capitalismo. Dunque siamo insieme agli Ypg e se ci sono delle incomprensioni si risolvono dopo con meeting, non appena se ne ha l’occasione.”
Avete percezione del fatto che ciò che fate è una spinta per il movimento femminile in tutto il mondo?
“Certamente.”
Ci sono particolari momenti nella vostra vita da combattenti in frontline di cui volete parlare?
“È difficile spiegare il nostro spirito quando si è al fronte. Noi non vogliamo uccidere persone. Ma, mentre combattiamo, sappiamo cosa fanno i daesh (acronimo arabo di Isis): uccidono senza motivo. Noi lottiamo per l’umanità. Sappiamo che se non li uccidiamo noi, ci uccidono loro. Ma il momento della battaglia non si può descrivere a parole: solo vivendolo si può comprendere veramente cosa si prova. Conoscete il racconto delle quattro farfalle? Quattro farfalle volavano attorno al fuoco, la prima più distante capì che il fuoco era vita e tornò dalle altre a riferirlo. La seconda, incuriosita, si avvicinò attratta dalla luce e scoprì che il fuoco dava luce, tornò a riferirlo alle altre. Anche la terza andò verso il fuoco, sempre più vicino, e scoprì che dava calore; e lo riferì. La quarta voleva comprendere fino in fondo lo spirito del fuoco: si avvicinò talmente tanto che morì arsa dalle fiamme.”
È mai capitato che parlaste col nemico nel momento del combattimento?
“No. È capitato che i daesh parlassero attraverso le ricetrasmittenti per tentare di deprimerci psicologicamente, ad esempio fingendo di avere tra le mani una nostra compagna e descrivendo gli abusi e le torture su di lei. La nostra risposta era: “Perderete”.”
Cosa pensi della situazione politica e sociale in Europa?
“L’Europa sta attraversando un momento molto complesso. È urgente che anche lì sorga un movimento forte, ma non sarà mai uguale a quello curdo. Ogni movimento ha bisogno di rintracciare e scoprire una propria specifica identità. È necessario che le donne si sveglino in tutto il mondo. Il patriarcato storicamente è stato ed è tutt’ora oppressione degli uomini sulle donne. Questo rafforza il sistema capitalistico. Per rendere un movimento forte e sempre in grado di migliorarsi, è necessaria la pratica dell’autocritica.”
In tutto questo, gli uomini cosa fanno?
“Se il movimento è forte ed è in atto una rivoluzione anti-patriarcale, gli uomini “supportano”. Non bisogna mai credere nell’esistenza di una rivoluzione solo perché qualcuno lo dice. Così come non esiste vittoria senza dolore e sofferenza.”
Secondo voi, è possibile uscire dal sistema capitalistico restando in un contesto urbano?
“No, è necessario ristabilire il contatto con la natura. Dunque, bisogna uscire dalla città, per poi anche tornarci. Ma è necessario recarsi nei luoghi della natura.”
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