“Noi figli di un Dio minore”, così si definiscono i 12 lavoratori in esubero di Casa Serena. Si sentono abbandonati e non vedono ancora la luce alla fine del tunnel nel quale si sono ritrovati. Vogliono far chiarezza sulla loro posizione, intendono raccontare chi sono e qual è il loro percorso lavorativo e lo fanno scrivendo una lettera accorata il cui scopo è gridare la mondo: «Vogliamo vivere del nostro lavoro».
Ecco il testo:
«Gentili lettori,
vi chiederete chi sono “i 12 figli di un dio minore” di Casa Serena. In questi ultimi mesi – scrivono –, ne avete sentito parlare attraverso la descrizione che altri hanno fatto di noi: mettendoci alla “gogna” e offendendo profondamente la nostra dignità di persone e lavoratori. Nel nostro piccolo, ci presentiamo umilmente agli occhi di chi non ci conosce. Siamo 12, 7 donne e 5 uomini che lavorano dai 18 ai 27 anni a Casa Serena. Persone che, pur professionalmente qualificate hanno optato per svolgere il lavoro di “ausiliari” all’interno della Casa di Riposo, come richiesto dall’Amministrazione Comunale nel mese di luglio del 2014 e sono stati demansionati all’interno della struttura. Mentre i colleghi della 328, hanno fatto la libera scelta di firmare per riqualificarsi e svolgere un’altra mansione all’esterno, scelta dettata anche dal fatto di non dover rimanere a svolgere mansione di “ausiliari socio-assistenziali” nel posto in cui avevano svolto mansioni superiori per lunghi anni. In un sistema democratico, dove vige la “Giustizia”, qualunque giudice è tenuto ad ascoltare entrambe le parti, prima di condannare gli accusati».
«Sino ad ora – prosegue la lettera –, noi siamo stati il “capro espiatorio”, di tutte le colpe e le malefatte del passato, comprese le frustrazioni più profonde di tanti eventi negativi. Adesso, è giunta l’ora di dire la verità e come stanno i fatti, facendo ascoltare la nostra voce senza consentire più a nessuno di usarci a proprio piacimento: strumentalizzandoci e offendendoci. Chi sono “I 12 figli di un dio minore”? Forse quelli che, hanno scelto di mettersi in gioco rimanendo sul “campo di battaglia” dopo tanti anni di lavoro prestato al servizio degli ospiti di Casa Serena? Forse quelli che non sono stati messi in tempo al corrente dei fatti reali o non hanno optato a fuoriuscire dalla struttura dove prima svolgevano altri ruoli: amministrativi; assistente sociale; dietista; animatrice; magazziniera e giardinieri, in quanto, dal 1 agosto 2014 hanno preso atto del loro demansionamento e hanno svolto tutto ciò che gli venisse richiesto attraverso la pianificazione dei lavori? Forse persone preoccupate, individui di età compresa tra i 40 anni per due di loro, e tra i 50 e i 63 anni per il resto del gruppo, con qualcuno addirittura alla soglia della pensione? Forse quelli che ormai, facendo parte di un piccolo gruppo, non fanno più gola a un grande sindacato come la Cisl che cerca di scaricarli e abbandonarli al proprio destino di disoccupati e disperati».
E ancora: «Siamo persone distinte e umili, con una grande preoccupazione dopo quella della vita: quella del “posto di lavoro”. Ognuno di noi ha caratteristiche umane diverse, che hanno risposto a questa improvvisa emergenza lavorativa con reazioni e atteggiamenti diversi, che ci contraddistinguono gli uni dagli altri, in questa sorta di “stillicidio”, che sta diventando una lunga agonia. Si vuole spezzare le gambe a chi si è messo in gioco per salvare il proprio posto di lavoro e il futuro dei propri figli e delle famiglie dopo 20/27 anni di sacrifici occupazionali che hanno creato uno stato perenne di precariato? Si vuole punire chi, ha collaborato a qualunque “attività di ausiliare” richiesta: spazzare, lavare, spolverare, buttare la spazzatura, fare i piatti, apparecchiare, predisporre l’office, portare i carrelli alimenti ai piani, accompagnare gli ospiti esternamente, raccogliere le loro richieste e compilare i moduli relativi, riordinare uffici, sostituire al centralino, ecc… Oppure, si vuole condannare lo “stato emotivo” di chi per fragilità non è riuscito a scendere in campo, subendo un profondo stress emotivo? Considerato l’origine di tale stress, possiamo definirlo “mobbing sindacale” che, se esasperato porta alla violenza psicologica vera e propria. Chiediamo pubblicamente a tal proposito, a qualunque sindacato, di non infierire sui 12 lavoratori ormai provati da mesi di proroghe e incertezze, attraverso ulteriori articoli che sono divenuti soltanto sinonimo di “crudeltà mentale”. In modo rispettoso, chiaro e trasparente, si sta cercando di non arrendersi e di lottare con tutte le forze per difendere e conservare il posto di lavoro: per noi 12, questa è diventata una lotta per la sopravvivenza, senza mai far mancare agli ospiti della Casa che ci stimano e ci sostengono, il massimo impegno nei loro confronti; la cura; l’affetto e un profondo rispetto verso chi è più debole e necessita di vivere nel benessere e in un clima di serenità. In particolar modo, senza mai far pesare su di loro sotto qualunque aspetto, il nostro problema. Inoltre, ognuno per le proprie attitudini e capacità personali, ha affiancato e collaborato con i colleghi che, attraverso il loro “patto di solidarietà”, ci hanno consentito in questi mesi di continuare a prestare servizio a Casa Serena e ai quali va il nostro ringraziamento».
«Purtroppo, la data del 31 marzo si fa sempre più vicina, data destinata a vederci fuori dalla struttura definitivamente, in quanto, la “trattativa privata”, che verrà espletata giorno 12, prevede solo 40 unità lavorative rispetto alle 52 attuali».
«Noi 12 figli di un dio minore ci chiediamo: a cosa mira la Cisl? A distogliere e spostare l’obiettivo del Dipartimento e dell’Assessore ai Servizi Sociali nel trovare una ricollocazione altrettanto dignitosa per i 12? Incitare i lavoratori a scontrarsi in una “battaglia tra poveri”, o ancor peggio, a provocare odio e rancore, spingendoci a comportarci come belve tra di noi o come Caino ed Abele? Il sindacato, forse, sta cercando di scaricare su di noi le scelte, le colpe e gli errori commessi da lavoratori che, come noi, in tutti questi lunghi anni, hanno dato loro fiducia e fatto gestire la propria vita lavorativa. Tutti noi che, man mano sino ad oggi, siamo stati costretti a ritirare la nostra adesione e tessera, ricercando un po’ di trasparenza in un altro sindacato: l’Orsa, che ha accolto tutti, indistintamente, sostenendo la nostra causa».
Non vogliono più sentirsi ripetere dalle Istituzioni che manca il denaro: «Di tempo – precisano – non ne abbiamo più. Consentiteci un nostro diritto inviolabile e democratico: quello di vivere dignitosamente del nostro lavoro, senza mendicare, sentirci ed essere di peso ad alcuno. Volete che saliamo sui tetti o che ci lanciamo nel vuoto? Che ci leghiamo con le catene o che ci lapidiamo a vicenda, per espiare tutte le colpe altrui? Volete delle vittime, fare macelleria sociale, insomma che volete da noi? Prendete una decisione, ci rifiutiamo di convivere ancora in questo stato di buio profondo».
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