Il ricorso contro Palazzo Zanca da parte di due contribuenti messinesi, è stato presentato nel 2011, per alcune cartelle esattoriali risalenti agli anni tra il 2004 e il 2009 e riguardanti Ici e Tarsu. Oggi la bella notizia per i cittadini: la Commissione tributaria ha dato loro ragione, annullando gli atti e le cartelle e condannando di fatto il Comune. L’importo dovuto era di poco superiore ai 4mila euro, una cifra relativamente esigua, ma che diventa importante se si pensa che la sentenza favorevole ai ricorrenti potrebbe rappresentare un precedente non da poco e aprire la strada ad altri contenziosi.
Ma veniamo ai fatti. Nel ricorso presentato dai cittadini attraverso l’associazione no profit “Uncea consumatori & esercenti”, veniva evidenziato un vizio di notifica. Le comunicazioni di pagamento dei tributi infatti, erano state effettuate attraverso una semplice lettera e non a mezzo raccomandata. La commissione Tributaria invece, nella sentenza emessa il 6 ottobre scorso, ha sottolineato l’errore da parte dell’ Ente, il Comune di Messina appunto. I giudici della dodicesima sezione, a conferma della tesi sostenuta dall’Uncea e dal suo presidente Giuseppe Rodi, hanno affermato il principio del rispetto delle procedure. In primis cioè, le tasse devono essere comunicate con lettera raccomandata e non per posta ordinaria. In caso di mancato pagamento, al contribuente, va notificato l’avviso di accertamento rispettando rigorosamente le modalità e le specifiche indicazioni della notifica.
Una qualunque violazione, come stabilito dai Giudici tributari, comporta l’annullamento del tributo anche se è già pervenuta la cartella di pagamento. E’ stata rigettata dalla Commissione infatti, anche la tesi difensiva della Riscossione Sicilia S.p.A. volta a sostenere che, una volta emessa la cartella di pagamento, poteva impugnarsi solo quest’ultima (per eventuali vizi) e non anche l’atto originario.
Gli stessi Giudici, nel rigettare la tesi della Riscossione Sicilia S.p.A., hanno precisato che la originaria nullità di un atto, che comporta la conseguente nullità di tutti gli atti e iniziative che seguono, può essere eccepita anche in seguito alla contestazione della cartella di pagamento. Infatti, se l’atto originario è nullo, anche la cartella di pagamento è nulla.
Ma il Comune di Messina, costituitosi in giudizio, avrebbe fatto un ulteriore errore, limitandosi a produrre come prova a suo favore delle fotocopie e non gli atti originali.
Il presidente di Uncea Giuseppe Rodi a tal proposito afferma: “Il caso presenta anche un ulteriore precedente, in quanto ai Giudici tributari va esibita la notifica originale o in copia conforme all’originale. Cosa che non avviene mai. I Giudici, nell’evidenziare tale obbligo, hanno precisato che il Comune di Messina si è limitato a produrre semplici fotocopie. Tra l’altro, gli stessi Giudici tributari, hanno evidenziato che la Suprema Corte di Cassazione (2625/2015) ha statuito che l’Ente impositore ha dovere di documentare anche il contenuto del plico. Onere della prova che, dunque spetta all’Ente e non al contribuente”.
“Il caso che riguarda i due contribuenti – conclude Rodi – rappresenta un precedente non solo per il Comune di Messina, ma anche per tutti quei Comuni che utilizzano i medesimi sistemi. L’accoglimento del ricorso ha comportato l’annullamento di ben cinque anni di tributi (tra ICI e TARSU) e non si esclude che, adesso, la Riscossione Sicilia possa subire una consistente richiesta risarcitoria in quanto, nel frattempo, aveva posto anche il fermo amministrativo di un veicolo. In realtà, la stessa Riscossione Sicilia S.p.A., prima dell’iscrizione a ruolo e l’emissione delle cartelle di pagamento, dovrebbe accertare l’esigibilità del tributo e non l’imitarsi ad una automatica emissione di cartelle di pagamento una volta pervenuto l’atto sul quale si fonda il presunto credito”.
Marika Micalizzi
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