Tra il 2014 e il 2017 si sono perse circa 5.300 aziende a Messina. Questo il risultato del report annuale fatto dalla CISL sul lavoro nella città dello Stretto, in cui viene evidenziato una forte diminuzione di aziende che riguardano i settori tradizionali dell’economia: agricoltura, industria e costruzioni. Un forte decremento si ha anche nel settore terziario, da sempre molto importante a Messina, che conta 696 aziende in meno rispetto al 2014. Ad aumentare invece sono le aziende di servizi, di assistenza e supporto alla persona.
Cresce, invece, il numero di assunzioni rispetto agli anni precedenti: si tratta perlopiù di assunzioni a tempo determinato (9533 su 11648) dovute all’istituzione del Jobs Act. La fascia di età più interessata dall’aumento dell’occupazione è quella dei 45-65 anni con 4.927 assunzioni nel 2016.
«C’è una controtendenza rispetto al 2016 – spiega Tonino Genovese segretario generale della Cisl Messina – cioè un lievissimo incremento del dato occupazionale che però si scarica tutto su contratti a tempo determinato e su fasce medio-alte d’età. Significa che il nostro territorio comincia ad intravedere delle opportunità maggiori rispetto allo scorso anno, ma non sono soluzioni strutturali o di prospettiva».
L’aspetto più rilevante analizzato dalla Cisl evidenzia il delinearsi di tre macro-aree in tutta Italia: al nord il PIL aumenta di 1,6 punti percentuali, a fronte di una diminuzione per il centro dello 0,36% soprattutto e del sud che perde addirittura l’1,23%.
«Da questi dati nasce una considerazione – conclude Genovese – la popolazione continua a diminuire perché non ci sono opportunità di lavoro. Abbiamo fatto nei giorni scorsi riferimento alla necessità di costituire la Zes anche a Messina per attrarre e favorire gli investimenti. La Zes e tutti gli altri strumenti a disposizione sono elementi che devono dare e creare opportunità altrimenti il nostro territorio continua a desertificarsi. Il numero delle aziende, anche nell’ultimo anno, continua a diminuire: vuole dire che non c’ produzione. E senza produzione non c’è lavoro, senza lavoro non c’è reddito e quindi non ci sono speranze di avere una prospettiva».
(246)