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“Corsi di sostegno, un vero business per le Università”. La denuncia dell’Anief

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ANIEFL’Anief (Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori) denuncia quello che definisce “il business dei corsi di sostegno”.  «Per diventare insegnanti specializzati nel supporto degli alunni disabili — spiega l’associazione professionale sindacale —, le università incaricate dal Miur approfittano della loro autonomia: chiedono fino a 200 euro per partecipare alla sola prova preselettiva e quasi 3 mila euro per frequentare i corsi formativi. Un giro di soldi da capogiro- a conti fatti – a spese di almeno 20 mila candidati già abilitati che tenteranno di aggiudicarsi i 6.398 posti messi a concorso».

Infatti, dopo il Tfa (Tirocinio Formativo Attivo), il Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha firmato il decreto ministeriale 706/13 che dà il via all’attivazione di corsi per formare 6.398 nuovi insegnanti di sostegno (1.285 per la scuola dell´infanzia, 1.826 per la primaria, 1.753 per la secondaria di primo grado e 1.534 per quella di secondo grado), a supporto degli alunni disabili nelle scuole. Corsi a numero chiuso e riservati ai soli laureati che sono già in possesso del titolo di abilitazione. Per accedervi sarà necessario affrontare tre prove preselettive: un test preliminare, uno scritto e uno orale. Il risultato finale per i singoli candidati dipenderà dalla riuscita delle tre prove a cui si sommeranno i punteggi ottenuti nella graduatoria per titoli (fino a un massimo di 10 punti).  Le prove sono bandite dalle singole università.

Insomma, se da un lato si procede a formare docenti specializzati, dall’altro continua il calvario di questi ultimi ai quali viene richiesto un ulteriore titolo che attesti specifiche competenze e di investire, in tempi di crisi e ancor prima di vedersi corrispondere uno stipendio, somme di non poco conto nella speranza di un futuro incerto. In poche parole, da studente a insegnante abilitato, il banco di scuola rimane una costante in un percorso formativo che diventa un “pozzo senza fondo”. Il nodo cruciale della questione non è rappresentato tanto dalla preparazione dell’insegnante concepita come un work in progress, quanto dalle spese consistenti da sostenere per ottenere queste abilitazioni. Costi che prevedono una prima quota di ammissione all’esame per accedere al corso e, superato l’esame, la stangata finale dell’iscrizione, cifre che vanno, per esempio, dai 2.700 euro dell’Università della Calabria  ai 2.800 euro dell’Università Carlo Bo di Urbino.

Marcello Pacifico, presidente Anief  nel quadriennio 2013-2016 e segretario organizzativo Confedir, tuona: «Siamo al paradosso, i futuri insegnanti degli alunni con bisogni speciali trasformati in “bancomat” approfittando della loro probabile assunzione nei ruoli dello Stato nei prossimi tre anni».

«Ancora una volta — analizza Pacifico — i docenti della scuola diventano strumento per fare business a vantaggio dell’amministrazione organizzatrice: invece di mettere nelle condizioni migliori i tanti docenti già abilitati che nell’anno accademico 2013/14 stanno scegliendo di specializzarsi nel delicato ruolo di sostegno agli alunni disabili e con limiti di apprendimento, li costringono a pagare cifre irragionevoli».

Ma non finisce qui, Pacifico osserva che gli importi richiesti sono addirittura superiori a quelli già imposti ai docenti precari per abilitarsi attraverso i Tfa ordinari, «nel 2012 — sottolinea — sempre la Carlo Bo di Urbino chiedeva, a tale scopo, 300 euro in meno, 2.500 euro contro gli attuali 2.800 euro. Una cifra spropositata. Che non può essere giustificata, come indicato nei bandi, dalla presenza della tassa regionale per il diritto allo studio, dal libretto, dall’assicurazione, dalla marca da bollo e dal contributo per svolgere i tirocini».

«Considerando che i posti complessivi che verranno messi al bando per specializzarsi sul sostegno, sono 6.398 — valuta il presidente dell’Anief —, alle università incaricate dal Miur di organizzare i corsi verrà corrisposta dagli aspiranti docenti di sostegno una cifra complessiva vicina ai 18 milioni di euro».

A questi importi si aggiungono anche quelli del contributo di iscrizione, richiesto ai circa 20 mila candidati, per accedere alle prove preselettive: una quota di partecipazione individuale che varia dai 110 ai 200 euro. L’Anief ha stimato che solo da queste verranno ricavati circa 3 milioni di euro, somme che — mettono in chiaro nei bandi le università — non verranno restituite in alcun caso.

«Questa decisione di trasformare in “bancomat” i futuri docenti di sostegno dei nostri alunni con bisogni speciali — commenta Pacifico —, si materializza giusto qualche settimana dopo il varo da parte del Governo del massiccio piano di assunzioni in ruolo di questa tipologia di insegnanti: nel prossimo triennio, infatti, sono previste 27 mila collocazioni degli attuali posti di sostegno in deroga nell’organico di diritto. Con la successiva stabilizzazione di buona parte del personale specializzato che vi farà parte».

Il Presidente dell’Anief teme che questo possa fare da specchietto per le allodole, «forse non ci si è resi conto — continua — che per partecipare alle selezioni per diventare insegnante di sostegno le università stanno ormai chiedendo ai candidati fino a quattro volte di quanto si chiede per diventare oggi magistrati, avvocati o notai: tutte professioni, peraltro, non certo scevre dal business legato sempre all’accesso».

«Evidentemente si sta perdendo ogni logica. Basta dire — conclude — che solo alcuni giorni fa la VII Commissione della Camera, relatore Giancarlo Galan (Pdl), grazie ad una maggioranza trasversale ha approvato un emendamento che permette di far insegnare sostegno a docenti non specializzati, ma in possesso del solo master o del perfezionamento in pedagogia speciale: potranno vedersi attribuito l’incarico annuale tramite graduatorie di istituto, senza aver mai svolto quel corso specifico che nelle prossime settimane partirà per i 6.400 “fortunati”  usati come foraggiatori del sistema».

Giusy Gerace

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