“Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono, a chi sogna solo di notte”
Edgar Allan Poe
All’alba, la pianta di alloro, in fondo al giardino, emanava un lontano profumo di antico e il primo sole, malgrado fosse da poco iniziato novembre, spargeva una luce rossa e solenne, preludio di una giornata mite. Regali del clima.
E’ così, che
In questa terra riusciamo ad assaporare meglio la nostra vita, perdendoci in essa, come in un dolce abisso: nostalgie di profumi, eteree consistenze di luce, l’anima sfiorata da emozioni delicate. Un empatia che ci spinge a immergerci in noi stessi. Perdendoci nel trascendente.
Il primo caffè ancora in mano, passeggiavo.
Adoro il momento in cui i sogni ed i pensieri si intrecciano, mi piace abbandonarmi a quella irreale farragine, specialmente nel mio giardino, me ne risveglio dolcemente e diverso.
Supero, così, l’inadeguatezza che vivo nel mondo del lavoro, quelle schizofrenie sociali, denaro ed egoismi per realizzare un nulla.
Un mondo fatto a misura di persone “astemie dell’emotività”, così qualcuno, felicemente, le definisce. Spero di non adeguarmi mai.
Anche nel lavoro, a volte, però, incontri dei sognatori, gente che cerca di realizzare un sé autentico, e ci si riconosce subito, ci si apre, le anime si sfiorano.
Quando cominciai ad occuparmi di vino, ebbi la fortuna di stare, tre giorni, a contatto con un vero gourmet, Daniele Cernilli, a degustare vino. Un esperienza unica. Aveva cominciato, da poco, un progetto ambizioso: “Il Gambero Rosso”. Ne era, giustamente, orgoglioso. Sognava, e cercava di condividere i suoi sogni.
Un uomo pieno di doti, un affabulatore e un attento ascoltatore dei suoi sensi.
Ne fui rapito.
Imparai, da lui, a dare un nome alle sensazioni, riconoscere un colore, un gusto o un profumo, distinguerlo e averne memoria. E’ questa, fondamentalmente, la differenza tra bere o mangiare e degustare.
Abbiamo imparato tutti, da bambini a farlo con la parola scritta, poterlo fare con gli altri sensi ci arricchisce.
Uomini così sono come dei minatori. Gente che lavora dove non l’ha mai fatto nessuno. Non sa mai cosa troverà, sa, solo, che vuole riuscire. Se incontra la roccia, deve procurare un martello. La sabbia, una pala. L’acqua, un’idrovora. E scava. Fino a trovare quello che cerca.
Immaginate adesso di percorrere una strada lastricata da pietre molto antiche e che questa strada sia coperta dal mare per mezzo metro. Un modo unico per arrivare in una terra fenicia, l’isola di Mozia.
Qui la fondazione Whitaker, proprietaria dell’isola, l’istituto regionale vite e vino, l’azienda Tasca e l’enologo Giacomo Tachis, alcuni anni fa, progettano di produrre un Grillo. Vigneti ad alberello di oltre 40 anni, biologico.
Le uve raccolte all’alba e caricate su piccoli barconi di legno per essere cullate dalle onde fin nei luoghi di vinificazione. Sogni.
Nell’epoca della globalizzazione, ritornare ai luoghi antichi della dominazione fenicia.
Versai il vino nel bicchiere . Il giallo paglierino brillante scivolò brioso. Portai il bicchiere sorridendo al naso. La sua allegria mi aveva contagiato.
Subito, profumi di ginestra, anice stellato, glicine e un leggero profumo di pepe Muntok bianco, poi una nota di “sale affumicato di Mozia”, qualcosa che solo gli “chef più esotici” della nostra Sicilia amano. Del resto, quest’ultima nota, si apprezza anche in bocca, in una fresca acidità citrico salmastra. Scivola via tra profumi leggiadri ma, secco e deciso. E’ elegante e intrigante. Insegna molte cose questo vino figlio di un sogno.
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