“La Via Lattea” condannata per licenziamento discriminatorio, per i giudici e’ stata una ritorsione

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Un licenziamento per rappresaglia con un chiaro connotato ritorsivo a causa di comportamenti legittimi tenuti dal dipendente a difesa di propri diritti ma assolutamente sgraditi al titolare.
Il Giudice del Lavoro Laura Romeo ha rigettato l’opposizione presentata dalla società “La Via Lattea S.r.l.” ritenendola infondata e confermando quindi l’ordinanza della prima fase, cosiddetta “sommaria”, del ricorso promosso con la Riforma Fornero da un lavoratore costretto a trasferte e trasferimenti lontani dalla sua originaria sede di lavoro (Acireale) fino addirittura al licenziamento.
Secondo i giudici si sarebbe trattato di una vera e propria ritorsione pianificata dall’azienda in risposta alle numerose controversie e rivendicazioni nate negli ultimi anni tra il dipendente e la stessa società. Da quelle retributive e contributive al rispetto del piano di ferie aziendale e alla fruizione di permessi, dalla contestazione di una illegittima sottrazione di mansioni alla richiesta di annullamento di una sanzione disciplinare subìta: tutti fatti che avevano palesemente e irrimediabilmente incrinato i rapporti tra il lavoratore e l’azienda, la quale, evidentemente forte della sua posizione, ha voluto vendicarsi ponendo non pochi ostacoli alla tranquilla e serena vita lavorativa del suo dipendente.

Originariamente assunto nella sede di Acireale della società “La Via Lattea”, è stato prima mandato in trasferta a Messina, poi a Vittoria, poi, a seguito del ricorso accolto, richiamato ad Acireale ma dopo poco nuovamente trasferito a Vittoria. Alla fine il “lavoratore ribelle” è stato licenziato, non prima però di una proposta: essere assunto dalla società “Ramer Srl “ con la stessa qualifica e trattamento economico. Una società però, quest’ultima, con meno di quindici dipendenti e quindi con scarse garanzie di una reale stabilità lavorativa. Opzione, perciò, nettamente rifiutata.
Insomma, un vero calvario, una rappresaglia a tutti gli effetti per le troppe, tante rivendicazioni del dipendente, iscritto alla Fisascat-Cisl, che non ha più avuto pace.
Questa è stata la lettura che i giudici hanno voluto dare ad una vicenda che parte nel 2011 e che si è conclusa, almeno temporaneamente, soltanto pochi giorni fa con la sentenza di primo grado.
Quel licenziamento avvenuto nel febbraio del 2013 non aveva motivazioni di carattere oggettivo, la “riorganizzazione aziendale” così genericamente espressa appare non suffragata da fatti ed esigenze, perlomeno questo è emerso durante il procedimento che, nella sua prima fase, non ha nemmeno avuto bisogno di testimoni. Sono bastate le prove documentali, così dettagliate e palesi, presentate dall’avvocato Lidia Dimasi a far emettere prima un’ordinanza totalmente favorevole al lavoratore e poi, con l’inserimento anche dei testimoni, una sentenza che ha considerato lo stesso vittima di un “licenziamento discriminatorio”.

Il reintegro, già ordinato nella fase sommaria, è stato rifiutato dallo stesso dipendente che, conscio di un clima ormai assolutamente incompatibile con una serena attività lavorativa, ha optato per l’indennità sostitutiva. Perlomeno un amaro sollievo.

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