Il Tribunale di Messina ha rimesso alla Corte Costituzionale sei delle tredici questioni di legittimita’ costituzionale sollevate dai ricorrenti. Accogliendo le argomentazioni del ricorso, ha rilevato dei profili di incostituzionalita’ dell’Italicum ed ha interpellato la Consulta che adesso e’ investita della questione e dovra’ giudicare se l’Italicum e’ incostituzionale. Il premio di maggioranza e la soglia minima sono tra le questioni poste dai giudici. Con il ricorso, analogamente a quelli proposti dinanzi ad altri 18 Tribunali peninsulari, spiegano i ricorrenti, “i cittadini elettori hanno richiesto di sentir dichiarare il loro diritto al voto libero ed eguale, secondo modalita’ conformi alla Costituzione, asseritamente violata, come fu per il porcellum, dall’Italicum”.
Primo in Italia, il Tribunale di Messina ha dichiarato che “sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita’ sollevate nel giudizio, tutte incidenti sulle modalita’ di esercizio della sovranita’ popolare”, approvando il ricorso in merito a sei, delle tredici, motivazioni presentate, in particolare nei seguenti motivi: Il “vulnus” al principio della rappresentanza territoriale; Il “vulnus” ai principi della rappresentanza democratica; la mancanza di soglia minima per accedere ballottaggio; impossibile scegliere direttamente e liberamente i deputati; irragionevoli le soglie di accesso al Senato; irragionevole applicazione della nuova normativa elettorale per la Camera a Costituzione vigente per il Senato, non ancora trasformato in camera non elettiva, come vorrebbe la riforma costituzionale. Ha pertanto disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi, ancor prima che la legge elettorale Italicum venga applicata, allo scopo, viene ancora spiegato dai ricorrenti, di “non vanificare i diritti elettorali dei cittadini italiani, sulla legittimita’ costituzionale della stessa. In caso di pronuncia di incostituzionalita’, gli effetti della sentenza della Corte, come fu per il Porcellum, potranno condurre a votare secondo le regole del “consultellum” (niente liste bloccate, niente premio di maggioranza senza soglia al ballottaggio). Il ricorso e’ stata presentato a Messina per iniziativa degli avvocati Enzo Palumbo, Tommaso Magaudda, Francesca Ugdulena e Giuseppe Magaudda.
Secondo il Collegio per le cause in materia di diritti elettorali del Tribunale – presidente Giuseppe Minutoli – in merito a una delle questioni piu’ delicate, il ‘vulnus ai principi della rappresentanza democratica’, occorre verificare se la normativa censurata (nella parte in cui fa scattare il premio di maggioranza, con attribuzione di 340 seggi alla Camera su 630 totali, alla lista che ha superato la soglia del 40% dei voti al primo turno di votazione ovvero, in mancanza, alla lista che abbia comunque vinto il ballottaggio) possa sollevare un minimo dubbio di conformita’ al principio fondamentale di eguaglianza del voto, che richiede che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi. La circostanza che non venga previsto “un necessario rapporto tra voti ottenuti rispetto non gia’ ai voti validi, ma al complesso degli aventi diritto al voto”, insieme al fatto che il premio di maggioranza operi anche in caso di ballottaggio e che vi sia la clausola di sbarramento al 3%, “fa sorgere il dubbio della non manifesta infondatezza della questione sollevata”, nella misura in cui “quel premio di maggioranza finirebbe con il liberare le decisioni della piu’ forte minoranza da ogni controllo dell’elettorato”. Altra questione e’ che la legge censurata prevede da un lato liste bloccate solo per una parte dei seggi (i 100 capilista) e dall’altro circoscrizioni elettorali relativamente piccole, introducendo un sistema misto, in parte blindato e in parte preferenziale, con la possibilita’ che “possa concretamente realizzarsi per le forze di opposizione un effetto distorsivo dovuto alla rappresentanza parlamentare largamente dominata da capilista bloccati, con possibilita’ che il voto in tali casi sia sostanzialmente ‘indiretto’, e, quindi, ne’ libero, ne’ personale”. E non risulta infondata la censura della previsione delle soglie di sbarramento previste in misura piu’ elevata per elezioni del Senato rispetto a quelle della Camera: in ciascun ambito regionale, per poter accedere alla ripartizione dei seggi le coalizioni di liste debbono raggiungere almeno il 20% dei voti validi; le singole liste facenti parte delle stesse coalizioni debbono conseguire almeno il 3% dei voti validi, mentre le liste non coalizzate devono conseguire almeno l’8% dei voti validi. Previsioni per i ricorrenti “irragionevolmente diverse rispetto alla Camera, pregiudicando l’obiettivo della governabilita’, per la possibilita’ del raggiungimento di maggioranze diverse nei due rami del Parlamento, e rendendo comunque piu’ difficile l’elezione al Senato, con irragionevole compressione del diritto di elettorato passivo”.
(140)