Unico edificio rimasto quasi intatto dopo il terremoto del 28 dicembre 1908, il Teatro Vittorio Emanuele, simbolo della rinascita culturale di Messina, decide di raccontarsi alla città attraverso un viaggio nel patrimonio artistico e storico che custodisce, proprio in occasione dell’anniversario del sisma.
Per farlo fissa quattro appuntamenti, tutti e tre nella giornata di oggi (alle 11.00, alle 15.00, alle 16.30 e alle 18.00) e, con l’ausilio dell’Associazione “Guide Turistiche Eolie Messina Taormina”, offre ai cittadini un tour guidato della struttura della durata di un’ora circa.
In quella che, insperatamente, si è rivelata una giornata di sole, è stato così possibile, e lo sarà ancora per qualche ora, tornare indietro nel tempo di un paio di secoli e ripercorrere gli anni di fermento culturale che hanno portato alla nascita del Teatro messinese, edificato sul modello del San Carlo di Napoli. Primo in Sicilia, il Vittorio Emanuele inizialmente portava il nome di “Santa Elisabetta”, in onore di Maria Isabella di Spagna, madre di Ferdinando II, re delle Due Sicilie, che ne ordinò la costruzione nel 1838 in via Ferdinanda. L’opera nasce dal desiderio di ridare valore a una strada, l’attuale via Garibaldi, che era stata conosciuta principalmente come sede delle vecchie carceri borboniche e che diventa così uno dei principali ritrovi della borghesia peloritana, luogo di cultura le cui mura hanno ospitato artisti e intellettuali.
Il tour prende il via dall’esterno, dalla facciata ornata dai bassorilievi di Saro Zagari, fino a giungere nella sala principale, in cui il visitatore potrà passeggiare sul palcoscenico prima di avviarsi verso le scale e visitare i foyer dei diversi piani, ricchi di tesori nascosti appartenenti al nostro patrimonio culturale.
Percorrendo poi i corridoi tappezzati di quadri, raccolti a più riprese nel corso degli anni per creare una galleria d’arte contemporanea all’interno del Teatro stesso, tappa fondamentale del percorso è il Colapesce di Renato Guttuso. L’opera, realizzata nel 1985 su 43 pannelli a olio, va a sostituire il velarium di Giacomo Conti, danneggiato durante il terremoto, e racconta la storia del giovane messinese che si tuffò nello Stretto per recuperare i tesori lanciati dal re e che, secondo la leggenda, restò in fondo al mare per sorreggere Messina. Guttuso si concentra qui sul momento del tuffo, mentre i piedi di Colapesce iniziano a trasformarsi in pinne e il giovane tocca l’acqua, mettendo così in evidenza il rapporto che lega – e ha sempre legato – le sorti della città al mare.
Arrivati in cima, è possibile infine ammirare la città, all’ombra de “Il Tempo che scopre la Verità”, il gruppo scultoreo posizionato sul terrazzo del Teatro, realizzato anch’esso dallo scultore messinese. Il Tempo, come spiegato dalle guide, è qui rappresentato come una figura alata, super partes, né uomo né donna, che guarda verso l’infinito, così come fa la Verità.
(1941)