Con la mostra fotografica “Non voglio vedere” – a Casa Peloro fino al 27 settembre – Sara Cucè si presenta al pubblico di Messina. 15 scatti in bianco e nero per esplorare il concetto di casa, dell’andare, del tornare, dell’essenza del viaggio e dell’abitare.
Incontriamo Sara in una caldissima giornata di metà settembre e ci siamo fatti raccontare (in ordine di sparso): di Londra, della sua camera oscura, di Cesare Pavese e dell’irreprensibile Tom Johnson. L’intervista.
C’è troppa luce
Sara Cucè (in foto) di anni 29, ha i capelli rossi e occhiali che fanno subito pensare ad occhi che osservano con meraviglia, curiosità, talvolta timore e un’incredibile voglia di vivere. Sara vive a Londra dal 2012 e dopo aver cambiato diverse direzioni, intraprende quella giusta: la fotografia.
Si iscrive quindi alla prestigiosa London Metropolitan University, si destreggia in diversi lavori per pagarsi gli studi e si sente, finalmente, a suo agio. «La passione per la fotografia – racconta Sara – c’è sempre stata. Da piccola, i miei mi hanno regalato la prima macchina a rullino e da lì ho sempre scattato.
Quando sei a liceo magari non sai ancora cosa vorrai fare. Vorresti essere risoluto ma fare anche delle cose che ti rendono felice. Così, dopo giurisprudenza e lingue straniere ho deciso di partire per studiare fotografia perché dovevo essere felice. Buona parte del mio tempo si risolveva con fare foto, pensare e fare foto. Scattare è una ricerca costante dell’identità». Negli anni, l’occhio di Sara si affina ma non cambia il suo approccio allo strumento, a cambiare è il contesto.
Swinging London
No, non sono gli anni ’60 ma Sara Cucè dà tutta l’impressione di essere arrivata da quell’epoca lì, che avremmo voluto vivere ardentemente.
«A maggio del 2012 sono arrivata a Londra. Avevo un estremo bisogno di sapere che potevo aprirmi ad un contesto più ampio. Di essere libera, assimilare altre culture, volevo esplorare con o senza macchina fotografica. Messina è un po’ limitata, anche lamentosa. Ma non voglio generalizzare, però sentivo che qui non c’era spazio per me. Mi sentivo un’aliena. Quando sono arrivata a Londra è stato come se stessi respirando. Londra è il mio posto».
Ed è il posto anche della London Metropolitan University, «sono riuscita a ottenere uno student loan (prestito per gli studenti, ndr) ma dovevo dimostrare di continuare a lavorare. I primi due anni facevo la bartender. Insomma un gran casino. All’inizio a lezione ero l’unica italiana, l’ambiente era multiculturale al massimo.»
Una didattica quella della London Metropolitan University che si concentra in modo particolare sulla pratica, seguendo filoni specifici, come il fashion o il giornalismo per esempio. «La mia cosa preferita era la fine art, perché è la totale espressione personale. Potevo esprimere i miei pensieri attraverso le fotografie. L’ultimo anno è stato bellissimo, ho avuto una professoressa – Ania Dabrowska – che lavorava su un progetto fotografico libanese ed essendo anche curatela mi ha aiutato a ordinare il mio caos».
Tom Johnson e Shoreditch – il quartiere di Sara Cucè
Sara Cucè si laurea nel 2017 e inizia a lavorare da subito. «Ho lavorato come assistente fotografo per Tom Johnson, che lavora per il fashion e scatta solo in analogico. Aveva uno studio pazzesco.» Lo studio di Tom Johnson è a Shoreditch, quartiere dell’East End di Londra «zona artistica per eccellenza di Londra. C’è tanta arte e liberta d’espressione». Ed è il quartiere in cui Sara vive e sviluppa le sue foto. A Londra si stampa ancora la pellicola. Incredibile.
Un’estate da rullino – i 15 di Sara Cucè in mostra a Casa Peloro
Sara da quando è tornata a Messina (ripartirà per Londra a fine settembre) ha sviluppato – nella camera oscura che ha realizzato nello scantinato di casa sua – 15 rullini. «Mi piace il lavoro artigianale, poter comporre la luce. È importantissimo continuare a sviluppare, quando torno vorrei continuare a usare la dark room per me e per gli altri.»
Da parte di questi rullini nasce “Non voglio vedere” in mostra – fino al 27 settembre da Casa Peloro. «A Messina è la mia prima mostra, mi piace restare in contatto con la città. Questo progetto lo avevo iniziato tantissimo tempo fa e poi nel 2016 ho iniziato a scattare facce che non volevano vedere, nascoste dietro le piante.
Non voglio vedere il tempo che passa, le cose che cambiano e come cambia il mio concetto di casa. È un po’ doloroso vedere che ti sei perso qualcosa. Alla fine veramente sto crescendo via da qui». Gli scatti di Sara sono esattamente come lei: onesti, asciutti, armonici, con idee precise e bellissimi.
Non voglio vedere
il volto corrucciato
di chi costruisce castelli di illusioni
e lamentele
ma quello stanco e sereno
di chi sa che ce la farà sempre,
anche quando non è vero.
(585)