Intrappolata dietro una rete di metallo, scolorita e avvolta dalla vegetazione, Casa Cammarata, il “castello” di Maregrosso, sopravvive ancora all’azione erosiva del tempo e dell’uomo, sebbene pesantemente mutilata.
Forse non tutti a Messina conoscono la storia di questo luogo: negli anni ’70 un ex soldato, un muratore in pensione, Giovanni Cammarata, decide di “abbellire” la propria abitazione, una baracca di Maregrosso, utilizzando uno strumento potentissimo: l’arte. Lo fa traendo ispirazione da ciò che conosce, dall’architettura cittadina, dal Cimitero Monumentale e dalla cultura africana, con cui è venuto in contatto nei suoi anni da militare, mischiando insieme elementi provenienti da repertori diversi e dando vita a un parco urbano in continua evoluzione. Questo almeno fino alla sua morte.
Dopo una lunga battaglia per tutelare e proteggere una costruzione sì, abusiva, ma di riconosciuto valore artistico, culturale e sociale, buona parte della casa del Cavaliere è stata distrutta per far spazio a un parcheggio, nonostante il tentativo di salvarla da parte della cittadinanza e, in particolare, del collettivo Machine Works. Quello che resta oggi è solo una traccia, la facciata, ornata da simboli sacri e profani, colonne e capitelli, figure umane e animali; abbastanza, in ogni caso, per avviare un vero e proprio contagio, tale da trasformare la strada in una vera via delle Belle Arti, fatta di murales e sculture, “abitata” da officine artistiche e centri culturali.
Artista in parte inconsapevole, “artigiano del cemento”, il Cavaliere – titolo acquisito per meriti di guerra – pianta le radici, così, con estremo anticipo, per un esperimento culturale inedito. A ricostruirne la storia, per molti versi sorprendente, mantenendone viva la memoria, sono, in particolare, Pier Paolo Zampieri, docente di Sociologia Urbana all’Università degli studi di Messina (COSPECS) e lo storico dell’arte Mosè Previti (Associazione ZonaCammarata/Lalleru) che, dal 2007, anno della definitiva distruzione di buona parte del parco urbano creato da Cammarata, hanno organizzato periodicamente manifestazioni e laboratori indirizzati ai bambini, mostre e seminari. Eventi che, nel corso degli anni, hanno portato nella città dello Stretto artisti e intellettuali provenienti da diverse aree della Penisola.
«Messina ha sempre avuto un approccio, nella migliore delle ipotesi, paternalistico nei confronti delle periferie – ha spiegato Zampieri. Cammarata, invece, usando un’iperbole, è stato l’unico “architetto” in grado di interpretare la complessità dell’espansione a Sud della città. Ciò che ha realizzato, nonostante non avesse studiato e teoricamente non ne avesse i mezzi culturali, è un’opera territoriale, paesaggistica, urbana, sociale ed emotiva che ha una valenza potentissima e che anticipa le questioni dell’arte contemporanea. Ha compreso che con l’arte si può cappottare la realtà, e l’ha messo in pratica».
Da quest’opera, dall’immaginario creato dal Cavaliere, fatto di fiaba, storia e tradizione, ha preso origine, si è detto, un vero e proprio contagio artistico, che ha tracciato la strada da seguire nella riqualificazione delle periferie: «Cammarata non è solo un artista da tutelare – ha aggiunto Mosè Previti – ma secondo noi è l’unica direzione viva, pulsante e attiva da seguire. Quando invitiamo gli artisti a lavorare qui a Maregrosso, questi si ritrovano costretti a confrontarsi con un segno riconosciuto, già presente e imprescindibile. È un’operazione quasi inedita di dialogo tra un’arte colta, quella degli street artist contemporanei, e un’arte inconsapevole».
Così le mura di via Belle Arti, grazie anche all’azione attrattiva esercitata da Machine Works, dal collettivo ZonaCammarata e, oggi, dall’associazione Lalleru – che ha ereditato il “curriculum” del vecchio collettivo –, si sono pian piano popolate di volti e simboli appartenenti alle visioni del Cavaliere, attraverso murales e sculture legati al mare e alla città. Il movimento avviato negli anni ’70, quindi, sta spostando il baricentro culturale verso Maregrosso ma, ha specificato Zampieri, l’azione decisiva spetta alle amministrazioni: «Da come l’autorità pubblica tratta questa casa si gioca il futuro del quartiere e della città».
Proprio qui sta il tasto dolente, perché non sempre il pubblico è riuscito a portare a termine azioni concrete per la tutela di questo bene culturale così singolare e significativo. E se non si mettono in atto azioni efficaci di manutenzione, hanno spiegato i due studiosi, c’è il rischio che tra una decina d’anni il poliedrico “castello” costruito da Cammarata, il centro di irradiazione da cui sono nate decine di attività collaterali, crolli, lasciando alle sue spalle solo qualche fotografia e, materialmente, il parcheggio di un supermercato.
Ma forse un passo avanti sembrerebbe esserci stato, negli ultimi mesi: a fine giugno è stato pubblicato un avviso pubblico per manifestazione di interesse finalizzato alla creazione di un archivio Arco (Arte e Architettura contemporanea) per lo sviluppo di attività culturali e turistiche nel campo, appunto, dell’arte e dell’architettura contemporanea. Tale strumento è finalizzato proprio alla promozione e alla cura di opere artistiche come, per esempio, Casa Cammarata.
«Non so se la nostra adesione verrà accettata – ha concluso Previti. Ma, anche nel caso non dovessimo farcela, ci auguriamo che qualcuno continui a lavorare su quest’opera, su questo esempio di arte contemporanea auto-generata, spontanea».
(Le foto prive del logo di Normanno sono state scattate dalla Soprintendenza e fanno parte dell’archivio di Zonacammarata, ad eccezione della prima, scattata da Florent Naulin/Teresa Maranzano)
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