Da Rete Civica per le Infrastrutture del Mezzogiorno un’attenta disamina delle condizioni sociali e logistiche che impognono la realizzazione del Ponte sullo Stretto:
“Questa mattina, con inizio alle 9,30, alla sala Visconti di Messina si svolgerà il convegno sul Ponte sullo Stretto. Perché un convegno? Perché è inaccettabile che malgrado si abbia un progetto definitivo presentato il 20 dicembre del 2010 e vidimato da ben 24 società pubbliche e private a livello mondiale, certificato dalla americana Parsons Trasportation e il progetto riprodotto in 5 laboratori statunitensi, canadesi, danesi, giapponesi e italiani per resistere senza danni a venti di 290 km/h e terremoti di 7,2 gradi della scala Richter (più forte di 0,2 gradi di quello che rase al suolo Messina e Reggio e mai verificatosi prima nello Stretto da che se ne abbia memoria storica) si possano ascoltare discorsi demolitori propalati ad arte su scirocco, venti, terremoti, uccelli e correnti marine.
Oggi a Messina saranno presenti tra i migliori professionisti italiani che hanno lavorato nel progetto del PONTE e risponderanno (per chi vorrà ascoltare) ai dubbi di natura tecnica per cui solo l’ideologia no pontista e gli slogan razzisti contro il Sud o rassegnati dei meridionali, potranno sopravvivere.
In questi ultimi dieci anni la Sicilia, per volontà della Holding FFSS SpA ed al fine di ripianare i debiti, con Mario Moretti, ha retrocesso la rete ferroviaria siciliana da rete principale a rete complementare; ha ridotto il numero delle navi nello Stretto da 5 a 1; ridotto le 56 coppie di treni al giorno (di cui 14 passeggeri e ben 42 merci) a sole 5 coppie (di cui 4 passeggeri e 1 solo merci), di fatto interrompendo la continuità territoriale e d isolando la Sicilia da ogni prospettiva di sviluppo malgrado la popolazione di oltre 5 milioni di abitanti, di fatto togliendo ogni prospettiva al traffico merci proveniente dal Canale di Suez ed oggi i container provenienti dall’Asia vengono in gran parte sdoganati in Olanda, Belgio, Germania che sono diventati il centro del Mediterraneo.
L’unica prospettiva per la Sicilia in un mondo globalizzato dove le distanze si misurano in tempi di percorrenza e non in KM è solo quello del suo dissesto economico.
Sicilia, Calabria e Basilicata più di ogni altro continuano ad essere penalizzate, prive delle infrastrutture logistiche necessarie al loro rilancio economico.
In economia, le infrastrutture strategiche (ferrovie, ponti, porti, strade, autostrade, aeroporti) costituiscono la precondizione dello sviluppo.
BASTA CON IL BENALTRO E BASTA CON LE PRIORITA’ PRIMA DEL PONTE
Il “c’è ben altro da fare” è diventato la costante per ostacolare la crescita del Meridione.
Mentre al Centro Nord si costruiscono le grandi piattaforme portuali, aeroportuali, stradali e ferroviarie, le gallerie, i trafori, i valichi, i passanti e si viaggia su Frecciarossa 1000 o Italo, intere regioni come Calabria, Sicilia e Basilicata, come fossero regioni appartenenti ad un altro Stato, rimangono prive dei binari dell’alta velocità o dei semplici raddoppi ferroviari. Intere parti del paese, con milioni di abitanti si muovono ancora sul binario unico costruito dai “Savoia” alla fine dell’800.
Oggi tra Messina e Villa San Giovanni per percorrere appena 3,3 km di mare, occorre lo stesso tempo che da giugno 2016 sarà necessario ad un Frecciarossa 1000 per coprire la distanza tra Roma a Milano di ben 676 km.
Aver pensato di risolvere “la questione meridionale” ricorrendo all’assistenzialismo è stato un fallimento. E’ evidente a tutti che il prodotto di questa “Medusa” sono stati: criminalità organizzata, disoccupazione, corruzione, clientele, assistenzialismo, disoccupazione, arretratezza ed oggi esclusione dalla società globalizzata.
Secondo i dati Eurostat 2015, Sicilia e Calabria sono le regioni con più inoccupati dell’intera Europa, peggio di azeri, bielorussi, rumeni e staccatissime dalle regioni greche.
In Sicilia solo il 42,5% dei lavoratori sulla popolazione attiva dai 18 ai 63 anni risulta occupato. Per l’Ufficio Studi della UE, su 260 regioni per grado di competitività nel 2013, la Sicilia era posizionata al 235º posto, la Calabria al 234º, la Basilicata al 233°.
È evidente che la crisi di queste regioni è infrastrutturale: senza coesione logistica con il resto dell’Italia e dell’Europa non potranno esserci investimenti produttivi e Sicilia, Calabria e Basilicata non potranno competere con il resto d’Europa, determinando per conseguenza la crisi di tutte le altre regioni meridionali condannate a restare periferia dell’intera Europa che comincia da Rotterdam.
Ma il destino del Meridione non è ineluttabile solo che “Roma” lo voglia.
Ogni anno transitano dal Canale di Suez circa 70 milioni di contenitori (TEUS) su navi cargo sempre più grandi, anche di 18.000 teus.
A beneficiare di questo immenso mercato che produce una ricchezza straordinaria per centinaia di miliardi di euro, non sono le regioni italiane del Mezzogiorno che pure si trovano ad appena 4 giorni di navigazione da Suez ma il Nord Europa: porti come Rotterdam, Amburgo, Brema, Anversa sono la fonte della prosperità per Olanda, Germania, Belgio, Regno Unito, che non sopravvivrebbero senza lo straordinario indotto provocato dall’industria portuale.
Ben il 70% dei 13 milioni di teus movimentati nel solo porto di Rotterdam (tutti i porti italiani insieme ne movimentano solo 10 milioni) o in quello degli altri paesi Nord europei provengono dal Canale di Suez.
Esemplificando: mentre a Catania si movimentano 33.000 teus e non più di 100 persone lavorano più o meno stabilmente nell’area portuale, a Rotterdam vengono movimentati 13 milioni di teus, lavorano 87.000 persone nell’area portuale e altri 2.000 sono dipendenti dell’Autorità Portuale. Ad Aversa oltre 120.000. In Germania l’industria legata ai porti è la terza del paese dopo quella chimica e automobilistica.
L’Autorità Portuale di Rotterdam fattura circa 600 milioni di euro e si stima un ricavo Iva per 35 miliardi di euro annui, la sua zona portuale occupa una superficie di circa 100 chilometri quadrati e ogni anno scalano 34mila navi che movimentano 400 milioni di merci. Il dato diventa significativo se si considera che Genova (5000 lavoratori) e Gioia Tauro (1400 dipendenti di cui 500 in cassa integrazione a rotazione), movimentano lo stesso quantitativo di cassoni ma Genova, che è un porto Gateway, produce 3 miliardi di euro di iva, mentre Gioia Tauro che non sdogana ma solo trasborda le merci delle navi più grandi a quelle più piccole senza generare alcuna ricchezza manifatturiera sul territorio, produce solo 39 milioni di Iva.
Ma ciò che ancora più straordinario è l’indotto dovuto alle fabbriche manifatturiere e dei semilavorati, della componentistica sdoganata che viene assemblata in loco o semplicemente stoccata e poi trasferita in tutta Europa. Il paradosso è che le merci dal Canale di Suez per risalire sino a Rotterdam impiegano 14 giorni di navigazione mentre per approdare AD Augusta o Gioia Tauro o ne impiegherebbero solo 3 o 4.
Perché ciò accade? Semplicemente perché in Calabria non esistono i binari dell’alta velocità, né l’alta capacità, i treni merci non possono viaggiare se non in periodi limitati e per un numero di vagoni insufficienti con tempi di stoccaggio e trasferimento troppo elevati rispetto a quelli dei porti del Nord Europa. La conseguenza è la marginalizzazione e la deriva del Sud, malgrado i suoi porti costituiscano l’approdo naturale per sbarcare nell’Europa continentale.
Spesso sentiamo parlare di Sicilia come piattaforma logistica del Mediterraneo ma è un non senso: senza il PONTE SULLO STRETTO nessuno sviluppo è possibile se manca il collegamento diretto della parte più meridionale con l’Europa attraverso i porti. Solo se si evita “la rottura del carico” con il collegamento dei porti alle ferrovie, sarà possibile la coesione nazionale, lo sviluppo della Sicilia e la crescita dell’intero paese.
Appare evidente come non ci siano altre alternative alla infrastrutturizzazione del territorio e appare risibile che si possa pensare alla crescita del turismo senza vie di comunicazioni rapide o alla crescita dell’agricoltura quando la concorrenza è con i paesi africani che presentano costi di produzione e lavoro di appena 1/10 rispetto a quelli meridionali.
Eppure Augusta e gli altri otto grandi porti della Sicilia, o Gioia Tauro, potrebbero nel loro insieme essere molto più competitivi della stessa Rotterdam se soltanto la miope politica ed industria italiana, comprendesse che esistono territori sotto la Campania e la Puglia, che rappresentano un’immensa ricchezza per l’intero paese.
L’equazione fare le infrastrutture = mafia è ontologicamente errata.
La mafia nasce, attecchisce, si alimenta storicamente nella povertà, nella miseria nella emarginazione. Tanto maggiore è la povertà tanto più rilevante è il peso e la presenza delle organizzazioni criminali che trovano terreno fertile in popolazioni rassegnate se non anche disperate.
Oggi esiste una grande opportunità per il nostro paese: il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina. Avviare immediatamente i lavori significa consentire ai porti meridionali di divenire l’inizio dell’Europa, capovolgendo l’Europa e trasformando il sud nella piattaforma logistica del Mediterraneo determinando un enorme indotto per le aziende manifatturiere del centro nord Italia.
Ciò consentirebbe da subito la creazione di 10.000 posti di lavoro tra diretti ed indotto, certi e stabili per almeno cinque anni nelle regioni più povere e meno competitive d’Europa, eliminerebbe la cassintegrazione per 10.000 persone determinando risparmi per oltre 200 milioni all’anno, con aumento delle entrate degli enti locali secondo le scale Keynesiane, oltre ad uno straordinario volano turistico, commerciale, produttivo, ingegneristico.
E significherebbe dare lustro alla nostra ingegneria e alla nostra industria infrastrutturale, che costruisce grandi opere e ponti in tutto il mondo ma ne è impedita in Italia.
Ma ancora di più significa restituire orgoglio alle genti del Sud oggi rassegnate ed in termini di consenso eliminare l’antipolitica, l’esasperazione, l’emigrazione, il clientelismo di chi diviene suddito per la promessa di qualche mese di lavoro precario nei centri di formazione o sulle navi traghetto. Sviluppo e lavoro significano erodere il consenso alle organizzazioni criminali.
Costruire il Ponte sullo Stretto sarà il volano per lo sviluppo ed il completamento delle infrastrutture nell’intero sud: le TAV in Calabria e sino a Siracusa e Trapani, la TAV Napoli – Bari – Lecce, il completamento dell’anello ferroviario siciliano altrimenti inutile, le ferrovie in Basilicata, il completamento autostradale della dorsale Cosenza – Sibari – Taranto.
Il Sud deve diventare il più straordinario cantiere per l’intero paese capace di generare importanti incrementi di PIL e di occupazione.
Ove così non fosse, allora si prenda atto che l’Italia non è una ed indivisibile, che l’uguaglianza delle genti è solo formale, che non vi è alcuna coesione nazionale, e la divisione infrastrutturale esistente costituisce la premessa per la scomposizione dello Stato.
Due Italie divise tangibilmente dalla “linea Maginot” della TAV Napoli Bari”.
Avv. Fernando Rizzo, dott. Rocco La Valle, ing. Nino Musca, ing. Gianfranco Furnari, dott. Marco Auteri ( presidenti di Rete Civica per le Infrastrutture nel Mezzogiorno rispettivamente di Messina,Villa San Giovanni, Nebrodi, Barcellona, Catania).
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