La liquidazione della Patrimonio Messina Spa era un «atto dovuto» perché, nei suoi tre anni di vita, la partecipata voluta dalla Giunta De Luca per censire e gestire i beni immobili di proprietà del Comune non ha raggiunto gli obiettivi prefissati: questo, in sostanza, quanto affermano i gruppi consiliari Pd e LiberaMe in una nota in cui spiegano le motivazioni che hanno portato la maggioranza del Consiglio Comunale ad approvare tale decisione.
Lo scorso 7 febbraio il Consiglio Comunale ha approvato con 17 voti favorevoli, 1 astenuto (come da prassi, il presidente Claudio Cardile) e 3 contrari (i consiglieri del gruppo misto Alessandro De Leo, Nello Pergolizzi e Francesco Cipolla) la delibera di messa in liquidazione della partecipata comunale Patrimonio Messina Spa, nata nel 2019 per volontà della Giunta De Luca. Nonostante il voto favorevole espresso dall’Aula nel luglio di tre anni fa, oggi i consiglieri segnano – a maggioranza – la fine della Partecipata. Perché? Dopo il Movimento 5 Stelle, anche i consiglieri di Pd e LiberaMe – Gaetano Gennaro, Alessandro Russo, Antonella Russo, Felice Calabrò e Biagio Bonfiglio – danno le proprie motivazioni, anche in risposta alle critiche mosse dal Sindaco.
«La liquidazione della Patrimonio Messina S.p.A. – scrivono i consiglieri – era un atto dovuto e non per le presunte motivazioni di scontro politico che da qualche parte si leggono, lasciandoci sbigottiti, bensì per la sua incapacità, in tre anni di operatività, di produrre un solo risultato utile rispetto agli obiettivi che le erano stati dati. Una società nuova, creata ad hoc da De Luca nonostante le sue promesse vane di riduzione delle partecipate pubbliche, che ha fallito i suoi obiettivi, mentre è sopravvissuta per tre anni procedendo ad atti gestionali che sono pesati e tuttora pesano sui conti del Comune e che tuttavia appaiono surreali rispetto allo scopo sociale. Esemplare, in tal senso, il noleggio con leasing di una flotta di automobili sul cui utilizzo ci sembra opportuno dubitare, soprattutto in un momento di difficoltà economica come quella che vive il Comune».
Nonostante l’iniziale voto favorevole alla costituzione della Partecipata, quindi, i due gruppi consiliari hanno deciso insieme a buona parte dei colleghi di mettere in liquidazione la Società perché «non si è riusciti neppure a stilare un elenco dei beni di proprietà del Comune». Eliminando la Patrimonio Messina Spa, sottolineano Pd e LiberaMe, si farebbero quindi risparmiare Palazzo Zanca e, di conseguenza, i messinesi. «È moralmente o politicamente accettabile che si tenga ancora in piedi una ennesima società partecipata che non producendo risultati, macina risorse pubbliche? – scrivono ancora i due gruppi consiliari. Il Consiglio comunale ha ritenuto di no, opportunamente e con grande senso di responsabilità, perseguendo l’unico fine, con la votazione di ieri, di far risparmiare alle casse del Comune una importante somma di denaro pubblico». Secondo Pd e LiberaMe, le attività che si era presa in carico la Patrimonio Messina Spa potrebbero tranquillamente essere svolte dal Dipartimento competente in seno a Palazzo Zanca.
«Destano, pertanto – proseguono –, grave sgomento le odierne (di ieri, ndr) dichiarazioni dell’Amministrazione, che intenderebbe impugnare la delibera di ieri al TAR per vederla sospendere. Si procederebbe, infatti, a usare ancora denaro pubblico per un ricorso al TAR contro una delibera che a grande maggioranza è stata votata dando un indirizzo politico chiaro all’Amministrazione: nuove partecipate, inutili e divora soldi pubblici, non ne possiamo più consentire. E il ricorso dell’Amministrazione contro un atto del Consiglio comunale, oltre a continuare a far spendere inutilmente denaro del Comune, sarebbe significativo di come la Giunta De Luca, piuttosto che rispettare la volontà dei cittadini rappresentati in Consiglio, pensa di utilizzare per spirito di rivalsa o per ripicca politica il proprio ruolo amministrativo sulle spalle della Città. Ancora una volta, un gesto di grave irresponsabilità politica, della quale, sinceramente, non saremmo neppure sorpresi».
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