La Festa dei morti nel mondo
La Festa dei Morti non è un’esclusiva italiana né europea; è anzi diffusa in diverse parti del mondo. Nei paesi cristianizzati, come quelli dell’America Latina o l’Italia stessa – spiega Geraci –, le celebrazioni includono messe e seguono un paradigma simbolico e religioso cattolico. In Guatemala, per esempio, il primo novembre si svolge il Festival Sumpango (o Festival degli aquiloni), durante il quale «le famiglie costruiscono dei grandissimi aquiloni e li fanno volare in cielo per mettersi in una comunicazione gioiosa, aerea, con l’al di là celeste». In Messico, nel “Dia de los muertos” le strade si riempiono di altarini dedicati ai defunti, si mangiano, tra le altre cose, il pane dei morti e i teschi di zucchero.
Diverse, ma neanche tanto, le tradizioni dell’estremo Oriente. «Nella Cina classica – spiega il professor Mauro Geraci – si pensava che le anime dei defunti risiedessero nel fondo della terra e favorissero lo sviluppo delle sorgenti. Da qui l’usanza di deporre al suolo il bambino appena nato per metterlo a contatto con la terra, perché la terra è la terra degli antenati, della continuità, di una società che tanto ha dimostrato di essere antica quanto si spera risulti rigogliosa nel futuro. Il culto della morte si lega quindi al culto della luce e dell’acqua che è tanto luminescente, brillante, trasparente quanto profonda, abissale, misteriosa, spesso torbida e nera come la morte».
In Giappone c’è, invece, la festa tōrō nagashi: «Per festeggiare i defunti e farli dialogare con le nuove generazioni – racconta il professor Geraci –, i bambini poggiano sugli specchi d’acqua, lungo i fiumi e sulle superfici dei laghi, delle lanterne di carta accese e le lasciano andare trascinate dalla corrente».
L’elemento del “culto della luce”, vediamo, è comune sia alle società orientali che a quelle occidentali: «Anche noi accendiamo candele per la festa dei morti. Le stesse usanze di Halloween (“la notte di tutti gli spiriti santi”) – nata dal Samhain, una sorta di capodanno celtico – prevedono l’illuminazione delle zucche portate in processione o messe davanti le porte e finestre. E il rito del travestimento, comune anche ai Mamuthones del Carnevale sardo, è un modo per rappresentare in modo controllato l’alterità della morte che così può dialogare, contrattare, negoziare, perfino scherzare con i vivi. Da qui l’idea antica della questua, della reciprocità, del dare, ricevere e ricambiare direbbe Marcel Mauss, oggi ridotta ed eufemizzata nel do ut des del “dolcetto o scherzetto”».
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