Gran Mercè a Messina: del XVI secolo l’unica traccia scoperta a Castanea.

Pubblicato il alle

4' min di lettura

Nel 2015, fra le molteplici documentazioni fotografiche setacciate dagli strumenti più avanzati tecnologicamente, Giovanni Quartarone, appassionato di storia e tradizioni locali, rilevò che a coronamento dello stemma che sovrasta il portale principale della chiesa madre di Castanea si riscontrava l’antico privilegio: “Gran Mercè a Messina”.

Attualmente, stando alle cronache, sono andate perse le uniche testimonianze di questo presunto privilegio: un’iscrizione sulla porta – collocata tra il 1512 e il 1528 – che dava accesso al campanile del duomo di Messina, recuperata dopo il disastro del 1908, incastonata alla base del nuovo campanile e rimasta fino ai bombardamenti del 1943; e un’altra epigrafe, ospitata sulla torre campanaria della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Con grande stupore, oggi è possibile ammirare “l’antico privilegio” che da oltre cinque secoli, presumibilmente, sovrasta il portale della navata centrale della chiesa di san Giovanni Battista di Castanea.

Il portale cinquecentesco è sormontato da una nicchia a lunetta contornata da mattoni in pietra lavica; sopra quest’ultima, al centro sotto l’oculo, risalta una cornice rettangolare che custodisce l’epigrafe attestante la costruzione del tempio nel 1500 a spese del popolo; ai lati, due incisioni su fondo cementizio riportano l’ultimo restauro avvenuto sotto l’era fascista, il tutto sormontato da un monoblocco marmoreo con il raro ritrovamento. Da una prima analisi, i reperti sembrerebbero coevi sia per la tipologia del materiale che per i caratteri incisi: le lettere, infatti, rispettano la stessa grandezza del modulo di scrittura.

Il “Gran Mercè a Messina” sovrasta per tutta la sua larghezza la lastra rettangolare, che raffigura tre stemmi: ai lati, due scudi crociati ovvero il blasone della città di Messina; in posizione dominante, poi, si erge il grande vessillo, presumibilmente aragonese. L’arma è inglobata in un’aquila col capo rivolto a destra, e dalla stessa fuoriescono tre piumaggi a sbalzo. Lo scudo si presenta troncato. Sopra il canton di sinistra della punta, si distinguono cinque forme uguali per dimensione e tipologia rappresentativa che sembrerebbero gigli del casato francese, incastonati in un rettangolo. Mentre nel canton destro sono chiarissime le figure del punto del capo, ossia una croce patente con gli estremi delle braccia leggermente più larghi del corpo della struttura. La croce è sormontata da un triangolo equilatero, sezionato in tre parti, simbolo della Trinità. Nel punto d’onore, ossia nel cuore, si evidenziano due lance incrociate, sormontate da uno scudo con croce inglobata.

La descrizione illustra ciò che ancora oggi è visibile nella Basilica Maggiore di Castanea. Nascono non poche domande sul perché proprio in una costruzione di così grande mole, voluta dal popolo ed eretta a proprie spese, accolga le insegne della città di Messina. Dal Quattrocento e per buona parte dei secoli a seguire, fino alla fine del XVIII secolo, il Casale non visse serenamente. Infatti, i naturali si trovarono nel bel mezzo di contese giurisdizionali fra l’Ordine Gerosolomitano e il Vescovo di Messina. Più volte si fece ricorso al Senato messinese e, come se non bastasse, per sedare l’annosa questione ci si appellò sia al Papa che al Re di Spagna. Nel maggio di tre anni fa, presso l’associazione Giovanna d’Arco di Castanea, in occasione di vari incontri sui fruitori dei beni artistici monumentali vennero fuori delle importanti scoperte circa il Casale; quindi si discusse proprio sull’importanza e le motivazioni che spinsero il popolo a costruire nel 1500 l’imponente edificio. E′ fuor di dubbio che gli abitanti del villaggio fossero perlopiù dediti all’agricoltura e certamente non abbastanza possidenti da costruire a proprie spese un edificio a tre navate.

Ritornando alla strana presenza del Gran Mercé a Messina presso la chiesa di Castanea, resta il nodo da sciogliere. Se effettivamente lo stesso privilegio si trovava nella chiesa di santa Sofia a Costantinopoli, possiamo riscontrare un legame con la devozione alla Madonna della Portella che fu introdotta in questa chiesa. Il titolo della “Portella” veniva attribuito alla Madonna di Costantinopoli, venerata a Rivisondoli presso Aquila.

Angelo Rocca

(469)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Contenuto protetto.