c'era una volta Messina: foto d'epoca dei palazzi coppedè. Palazzo Coppedè via Garibaldi

C’era una volta Messina: i palazzi di Gino Coppedè nella città dello Stretto

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Gino Coppedè a Messina

«Fu in questa temperie edilizia – spiega Franz Riccobono – che interviene un bancario-imprenditore genovese, il Cerruti che, resosi conto dell’opportunità data dalla situazione messinese, investì i propri capitali nella realizzazione di edifici eleganti quanto appetiti dalla classe dirigente superstite e benestante. Viene arruolato nell’attuazione dell’impresa lo studio di Gino Coppedè, architetto, scultore e decoratore già noto (resta a Roma un intero quartiere a lui intitolato). Pur rispettando le rigide normative imposte dalle leggi antisismiche, riesce a rendere ricchi e prestigiosi gli edifici da lui progettati a Messina avvalendosi di maestranze specializzate nella decorazione scultoria (con cassaforme in cui veniva colato cemento e graniglia di marmo) e a graffito».

«Le case Coppedè ancor oggi esistenti, ancorché degradate per la mancata manutenzione, presentano uno straordinario repertorio iconografico che attinge nelle diverse occasioni a repertori d’età medievale o rinascimentale: animali mostruosi, bifore, fregi di ispirazione classica, rosoni, graffiti policromi a soggetto vario e quant’altro potesse colpire la fantasia di chi guardava a questi edifici in una città in cui la gran parte degli abitanti viveva ancora in modeste baracche di legno. Non a caso, le costruzioni del Coppedè furono acquisite dalle famiglie più rinomate della città nel tentativo di ripristinare il ricordo degli antichi palazzi andati distrutti dal terremoto del 1908».

I principali edifici Coppedè a Messina

«Forse il più cospicuo tra gli edifici realizzati da Coppedè e collaboratori – racconta Franz Riccobono – si conserva (male, a causa degli interventi degli anni ’60 e ’70), occupando l’area di un intero isolato del centro di Messina. Si tratta del Palazzo del Gallo (o Palazzo Tremi), definito dalle vie Santa Cecilia, Risorgimento, Aurelio Saffi e Centonze. Peraltro questa costruzione diede luogo ad uno scandalo rosa in quanto il proprietario, che era un ufficiale del regio esercito, fu accusato di arricchimento illecito. Evitò la condanna dichiarando con disinvoltura in Tribunale che i proventi per la costruzione derivavano dall’attività amatoria della propria moglie.»

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«L’opera di Coppedè iniziò lungo la via Garibaldi nel comparto susseguente il palazzo Fiorentino (rimasto indenne dal terremoto) con la costruzione di una serie ininterrotta di edifici sino a giungere a via Consolato del mare (piazza Municipio)».

  • Il palazzo che si conclude in via Cardines, contro le absidi della Chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani, così come l’isolato a monte che si affacciava su via Cardines, via I Settembre e via Cesare Battisti, viene attribuito a Gino Coppedè;
  • Dopo la Chiesa dei Catalani, la cuspide tra via Castellamare (oggi pedonalizzata), via Garibaldi e via Cesare Battisti vide un altro intervento dello studio Coppedè;
  • Superato largo San Giacomo, alle spalle del Duomo, altri due edifici gemelli vennero realizzati dallo stesso architetto ma in stile diverso dai precedenti;
  • Risalendo da via Consolato del mare ad angolo con via Argentieri fu realizzato il cosiddetto Palazzo Weigert con la caratteristica tettoia aggettante;
  • Ritornando verso piazza Duomo, ad angolo di via Cristoforo Colombo (accanto alla Fontana di Orione) un altro edificio, detto Palazzo dello Zodiaco, fu realizzato sempre dal Coppedè;
  • Ancora lungo il corso Cavour, ad angolo con via della Zecca, un altro palazzetto riprende gli stilemi del Coppedè;
  • Più a sud, lungo la via Tommaso Cannizzaro, ad angolo con via Ugo Bassi, vi era uno dei più prestigiosi palazzi dovuti al Coppedè, di proprietà della famiglia Costarelli, purtroppo semidistrutto dai bombardamenti e solo di recente restaurato;
  • Subito dopo il Palazzo del Governo, lungo la via Garibaldi, insiste un ulteriore edificio, al tempo di proprietà del marchese Loteta, sempre opera del Coppedè, cui successivamente venne aggiunto, a completamento, un secondo comparto simile nel disegno ma progettato dall’ingegnere messinese Vincenzo Vinci (ideatore della Coppa Vinci).

«A tal proposito – precisa Franz Riccobono – è bene sottolineare che le attribuzioni sono spesso inesatte, in quanto nelle pratiche d’ufficio lo stesso edificio portava la firma dell’ingegnere, come pure quella del decoratore delle facciate, oppure veniva riferito al proprietario o al costruttore. Capitava, quindi, che lo stesso palazzo venisse riferito al proprietario, al costruttore o al decoratore, creando una certa confusione nelle attribuzioni successive a noi giunte».

(Foto dell’archivio di Franz Riccobono e Giangabriele Fiorentino)

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