In scena alla Laudamo dal 22 al 24 Marzo per il cartellone “Paradosso sull’Autore”, una storia dura e grottesca: “Biografia della peste”, spettacolo curato da Dario Tomasello. Sono Francesco D’Amore e Luciano Maniaci, che insieme formano il gruppo “Maniaci d’Amore Teatro”. Il loro nuovo spettacolo ha la regia (e quella che viene chiamata “scenofonia”) di Roberto Tarasco, i costumi di Alessandra Berardi e l’assistenza tecnica di Agostino Nardella. Ambedue molto giovani, Francesco D’Amore (Bari, 1983) e Luciana Maniaci (Messina, 1985) parlano così dello spettacolo: «“Biografia della peste” non è una favola nera, ma una storia dura e grottesca, simile a certi sogni di facile interpretazione, coi simboli così chiari, così scoperti, da risultare sospetti. Questo spettacolo è un delirio sociologico travestito da fiaba, o da musical. È teatro con sovrapposta un’irriverente rappresentazione mortuaria collettiva. A Duecampane, dove tutti si conoscono e tutti si vogliono bene per statuto, dominano il dubbio e l’incompiutezza. Così, anche la morte è diventata incerta e parziale. La peste del titolo non è altro che questo: una morte part-time, 23 ore al giorno. Tutti gli abitanti ― meno due ― ne sono infetti. Nell’unica ora di vita che è loro concessa è possibile per i semi-morti cercare una via per “migliorare la propria biografia”, come si augurava Sartre. “Biografia della Peste” è la storia, raccontata dal punto di vista del virus, dell’unica famiglia scampata al virus. Il ritratto di una madre-albero che è l’unica donna felice del mondo, di un padre-cavolo, innocuo e saggio come ogni ortaggio, di un figlio che all’occasione sa essere spastico o gentiluomo, e di una ragazza morta che non fa che sbagliare i verbi e lamentarsi di non poter ballare. Se la più grande sfortuna dell’uomo è quella di nascere da altri esseri umani, ereditandone errori e conflitti, non sarebbe tutto più facile se derivassimo dai cavoli, come suggerisce la fantasia popolare? Duecampane è il luogo dopo la Caduta, in cui quest’alternativa può essere considerata l’unica base per la costruzione di una nuova e più sana umanità. Parliamo di un paese da fiaba, per questo c’è permesso riderne. Un paese inventato, almeno quanto il nostro».
(114)