Oggi, 8 Marzo, Festa della Donna. Un simbolo, un ricordo dimenticato. Molte donne, questa sera, usciranno con le amiche e riempiranno i locali perché è la loro festa. Ma il significato di questa giornata è un altro, diverso da come lo abbiamo, nel tempo, trasformato. Parliamo della donna e di cosa significhi essere tale e, senza necessariamente andare indietro nel tempo, scopriamo quali sono le battaglie che deve affrontare. Anche ai nostri giorni. E ce lo ricorda la segretaria generale della Fp Cgil, Clara Crocè, che delle donne e delle loro difficoltà, si occupa quotidianamente, grazie alla sua attività sindacale. Dietro la “patina dorata” del giorno di festa conosciamo, tramite la loro testimonianza: Angela, Nadia, Giovanna, Rosa, Antonella. «Nomi comuni, di donne comuni, con una vita specialmente comune — dice la Crocè —. Mamme, mogli, sorelle, figlie. Tanti ruoli per un unico immenso cuore, animato da profonda sensibilità. Quella che contraddistingue la grande specialità dell’essere donna. Una specialità che, non è mai banale ripeterlo, non va “festeggiata” in un giorno particolare, va andrebbe valorizzata sempre». «Non possiamo concederci neanche il lusso di un momento di riflessione o di pausa — riflette la sindacalista —. Oggi, infatti, sarà un giorno come tutti gli altri, un giorno pieno di tavoli sindacali nel corso dei quali proveremo ad individuare una soluzione che possa migliorare la situazione di tante disperate. Ecco perché nel giorno dell’otto marzo, la cosa che ci piace fare è ricordare le storie di alcune donne protagoniste, loro malgrado, di vertenze simbolo della città».
Giovanna Galletta, ex dipendente Futura, dice: «Ho sempre lavorato alla Futura, dove sono arrivata tramite conoscenze con il Presidente della cooperativa. Ho iniziato con un contratto a tempo determinato, in modo non continuato: tre mesi, poi altri due mesi etc. nel settore trasporto. Il mio turno terminava, su carta, alle 14.00, ma in realtà non smontavo mai prima delle 17.00/18.00. Ovviamente senza alcuno straordinario pagato. Nel 2007 sono passata alla scuola. I pagamenti, come per tutti, non erano mai puntuali. Sono separata, ho tre figli e non mi aiuta nessuno. Ho sempre accettato ogni incarico che mi proponevo pur di non perdere il lavoro. All’inizio della nostra protesta non me lo sono sentita di scioperare proprio per paura di rimanere senza il mio posto, unica fonte di sostentamento. Chi lo ha fatto, soprattutto all’inizio, è stata vittima di mobbing da parte del Presidente della cooperativa. Rimanevo senza parola quando osservava scena di colleghe, di 40 e 50 anni, umiliate verbalmente da lui. Quando poi, un giorno, in tv, ho visto le mie colleghe incatenate, mi sono convinta e una settimana dopo mi sono aggiunta alla protesta e mi sono iscritta al Sindacato».
Nadia Barbuscia, Clinica Santa Rita, racconta: «Ho 28 anni, sono laureata. Ho operato come infermiera alla Clinica Santa Rita. Lavoravo dalle sette e dodici ore. Il primo stipendio l’ho percepito dopo due mesi di servizio. Mi sono sposata perché avevo un lavoro. Dal primo marzo 2012, però, sono senza stipendio. Vorrei avere dei figli ma non posso perché questa condizione lavorativa non me lo consente. Anche se riuscissi a rientrare in servizio, dovrei aspettare altri tre mesi per ottenere la maternità. Siamo nella disperazione fin sopra i capelli, anche perché poco prima che io andassi in cassa integrazione, mio marito è stato licenziato. Abbiamo chiesto prestiti, dobbiamo pagare l’affitto, le rate della macchina. Non ci rendiamo ancora conto che la clinica sta per chiudere. Tutto funzionava bene, avevamo talmente tanti pazienti che ci sarebbe potuta essere una lista d’attesa lunghissima. Chiediamo un aiuto alle istituzioni. Tutti i sacrifici che abbiamo fatto speriamo possano venire ricompensati. A Messina non c’è lavoro per me che ho 28 anni figuriamoci per i miei colleghi che ne hanno 40/50».
Rosa Pocchi, Rsa “Il Giardino sui Laghi”: «Subito dopo la laurea ho presentato domanda di assunzione in diverse Cliniche. Mi sono chiesta come mai dopo una settimana sono stata chiamata a lavorare presso la Rsa “Il giardino sui Laghi”. L’ho capito dopo poco tempo. L’azienda non pagava gli stipendi. Lavoro da luglio del 2009, mi occupo di assistenza ai pazienti in riabilitazione psico-fisica, ammalati cronici e di lungo degenza, dei malati di Alzheimer. Sono sposata e ho un bambino di due anni. Ho deciso di sposarmi dopo aver firmato il contratto a tempo indeterminato convinta di aver vinto un terno al lotto. Ma così non è stato, il lavoro è diventato un incubo. L’azienda pur essendo una delle migliori dal punto di vista assistenziale, non riesce a garantire gli stipendi ai lavoratori. Vista la situazione della Clinica ho sentito la necessità di tutelarmi e mi sono iscritta al Sindacato. Mi hanno seguita diversi miei colleghi e questo ha scaturito parecchie reazioni. Ma noi continueremo la nostra vertenza con la Fp Cgil, perché siamo nel giusto e rivendichiamo diritti, il pagamento degli stipendi. L’azienda mi deve corrispondere 7 mensilità e 3 tredicesime. Stiamo affrontando una realtà piuttosto dura: fra debiti e mutui da pagare non riusciamo a sostenere le spese quotidiane. A volte sopravviene lo sconforto per paura di non riuscire a superare il giorno, la settimana, il mese».
Antonella Murabito, Lsu cooperativa Cosirho, 37 anni: «Sono sposata, ho un bambino di cinque anni. Sono impegnata in attività socialmente utili dal 1997. Ho svolto la mia attività nella parrocchia di Sant’Antonio. Dal 2006 ho iniziato a lavorare presso l’Asp. Nel 2010 ho presentato domanda al Tribunale di Messina ai sensi dell’art. 75 (mobilità dalla cooperativa). In seguito a una circolare emanata dal ex governatore Lombardo, sono stata parcheggiata in cooperativa. Da gennaio, a me e ai miei colleghi de “Il quadrifoglio” è stato proibito di riprendere le attività lavorative, perché non versiamo le quote associative di 25 euro al mese. Percepisco l’assegno di disoccupazione di 552 euro al mese. Mio marito è ancora precario a viviamo nell’instabilità economica e lavorativa. Abbiamo chiesto al Presidente Crocetta di liberarci da questa situazione paradossale. Noi vogliamo lavorare non vogliamo assistenza e soprattutto vogliamo essere liberi.
Angela, Comunità per anziani finanziata dal comune di Messina: «Mi chiamo Angela, ho 24 anni, lavoro presso una Comunità finanziata dal Comune di Messina e mi occupo di assistenza agli anziani. Sono disperata! Non percepisco lo stipendio dal mese di luglio e non posso neanche protestare. Mi hanno detto che la cooperativa deve pagare i propri debiti. E ai miei debiti chi ci pensa? Mi sono iscritta al sindacato, ma subito dopo molti colleghi mi hanno detto di non partecipare ad alcuna iniziativa per evitare ritorsioni. Quelli della Comunità, inoltre, mi hanno detto che sono fortunata perché mi hanno raccolta dalla strada . Mi sento umiliata».
Tutte donne, tutte lavoratrici, tutte con una battaglia da portare avanti coraggiosamente. Il nostro è un paese che crede nella famiglia e il cui primo articolo della Costituzione recita testualmente: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Per creare una famiglia è necessario un lavoro ma soprattutto è fondamentale che la dimensione lavorativa si muova nel rispetto della dignità delle persone.
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