Grazie a Franz Riccobono abbiamo scoperto e vi abbiamo raccontato più e più volte la Messina del passato, la storia dei suoi palazzi, delle sue strade, di quei torrenti oggi coperti, delle tradizioni più sentite della città dello Stretto. Non vi abbiamo mai raccontato, però, il dietro le quinte di quegli incontri nella sua bottega di via Ghibellina, non vi abbiamo mai raccontato di Franz Riccobono. E forse è arrivato il momento di farlo, perché con la sua morte si è creato un vuoto difficile da colmare.
Franz Riccobono non era mai solo. Lo abbiamo visto in queste ore, la sua bacheca Facebook è stata invasa di messaggi di amici, conoscenti, colleghi. E anche quando si andava da lui per un’intervista era difficile trovarlo da solo. La sua porta era sempre aperta, c’era sempre qualcuno che semplicemente era andato a trovarlo o che, passando da via Ghibellina, si affacciava per fare quattro chiacchiere. Ogni volta che entravi nel suo negozio, entravi quasi a straforo in una storia, in un racconto su Messina. Una piccola nicchia fuori dal tempo, tra libri rari e antichi, medaglie, vecchie foto d’epoca, cimeli preziosi e curiosità.
Andavo sempre da lui in tarda mattinata, verso le 12.00, o nel tardo pomeriggio. Mi faceva accomodare su una sedia rossa pieghevole davanti alla sua scrivania, aprivo il computer e si iniziava a discutere dell’argomento del giorno. Che si trattasse del Terremoto del 1908 o della Vara, di qualche curiosità su Messina, sui suoi monumenti o sulle antiche tradizioni, era sempre una fonte inesauribile di conoscenza. E di idee, aveva sempre un progetto in cantiere di cui ti voleva parlare o in cui gli sarebbe piaciuto coinvolgerti. Era difficile stargli dietro, mettere ordine nella valanga di informazioni che riusciva a tirare fuori anche sulla più piccola mattonella di qualche palazzo dimenticato.
Quando lasciavo la redazione per andare a intervistarlo avvisavo sempre tutti che «non so quando tornerò, non vi preoccupate». Perché era vero, si parlava per ore. E poi la sua bottega era veramente un luogo di incontro, sembrava un minuscolo caffè letterario (ma senza l’angolo bar) capace di accogliere tutti. Dai ragazzi delle scuole che ogni tanto andavano a intervistarlo, a chi cercava un regalo speciale, qualcosa di raro, per un amico o un parente appassionato di storia, ai professori e intellettuali con cui collaborava, con cui scriveva. Era sempre gentile e disponibile con chiunque mostrasse un minimo di curiosità, con chiunque avesse voglia di imparare qualcosa su Messina (e non solo).
E si arrabbiava. Si arrabbiava tantissimo davanti all’abbandono del patrimonio culturale cittadino e regionale, davanti alla noncuranza, all’ignoranza frutto di una scelta deliberata. Aveva a cuore la città, voleva la rinascita della Zona Falcata, la riqualificazione della Real Cittadella, voleva creare un Museo dedicato alla Vara, simbolo identitario dei messinesi, una mostra permanente sul Terremoto. Voleva il recupero di tutti quei tesori – dalla «cosiddetta» cripta del Duomo alle opere chiuse nei magazzini dei Musei – che chi vive oggi a Messina non conosce o conosce solo per sentito dire. Voleva che la gente conoscesse la storia della città, per tramandarla e forse trattarla meglio. Era veramente un divulgatore, un amante della città e della cultura, il suo più sfegatato sostenitore. E mancherà a tutti.
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