L’aggressione dello scorso sabato ai danni di un ragazzo di 14 anni, picchiato a sangue da un gruppo di giovani a piazza Antonello, ha scosso profondamente Messina. Da giorni in città si cercano spiegazioni e soluzioni. Per provare a comprendere meglio il fenomeno, apparentemente sempre più diffuso, abbiamo voluto interpellare un’esperta, la dottoressa Vanessa Scamporlino che ogni giorno lavora con genitori e studenti e affronta tematiche legate al bullismo tra i più giovani.
All’indomani dell’aggressione è subito scattata la “caccia alla baby gang”. Nel contempo, le autorità locali e diversi esponenti politici si sono espressi chiedendo o promettendo una maggiore sicurezza per il territorio. Ma quali sono le azioni che la comunità può adottare per scongiurare il ripetersi di episodi di questo tipo?
Ce lo spiega la dottoressa Vanessa Scamporlino, psicologa e psicoterapeuta rogersiana con alle sue spalle un curriculum di tutto rispetto. Si è formata tra la Sicilia e l’Emilia Romagna nell’ambito della Psicologia delle Relazioni Educative e dello Sviluppo. Oltre ad essere psicoterapeuta, gestisce degli sportelli d’ascolto nelle scuole del territorio. Lavoro, il suo, che la mette a contatto ogni giorno con docenti, studenti e famiglie. Vediamo quali sono, secondo lei, gli strumenti più adatti per contrastare il bullismo e la violenza tra i giovani.
Si può contrastare il bullismo e la violenza tra i giovani?
Nei giorni scorsi un ragazzino di 14 anni è stato picchiato da un gruppo di giovani. Episodi come questo sono frequenti?
«Sono sempre di più, purtroppo, gli episodi di cronaca che si riconducono al fenomeno del bullismo. Parliamo di lesioni, soprusi, umiliazioni, minacce, che a volte si estendono anche al mondo degli adulti, quindi anche i professori vengono presi in giro, offesi, magari mentre la classe registra e poi pubblica il video delle umiliazioni sui social o nelle chat di classe.
Circoscrivere il fenomeno è un’impresa sempre più complessa anche a causa delle innumerevoli forme che questo assume con l’avanzare della tecnologia e il cambiamento della società.
L’aggressività tra i ragazzi c’è sempre stata, certo, però oggi il fenomeno è in aumento perché la società si è trasformata e si sottovaluta l’effetto che i media hanno già sui bambini che vengono lasciati indiscriminatamente davanti alla ricezione di messaggi continui senza una bussola per orientarsi.
Purtroppo, d’altra parte, non c’è nulla di nuovo nel bullismo: questo tipo di violenza è sempre esistito nella storia dell’infanzia. Chi non ricorda un amico o un compagno preso in giro, minacciato, insultato al limite della persecuzione? La drammatica novità sta nel fatto che i “nostri” ragazzi non sanno a chi rivolgersi».
Cosa spinge di solito i ragazzi a questo tipo di comportamento?
«Le motivazioni sono molteplici. Il contesto in cui si vive spesso manda il messaggio che la violenza è utile per primeggiare, per dominare, è funzionale all’avere successo. Mancano le regole, gli stimoli, e a questo si aggiunge la noia sociale, l’insoddisfazione, la monotonia; sono tutti elementi che contribuiscono a portare i ragazzi a trovare cose nuove anche attraverso condotte negative. A questi si aggiunge il fascino del potere e della superiorità, l’intolleranza verso il diverso, il sentirsi grandi, il senso di appartenenza alla massa o al “branco”. Anche una persona che solitamente ha un comportamento consono, quando si unisce a un branco può diventare cattiva e/o commettere atti che di per sé non farebbe.
Non va poi sottovalutato che il bullo non ha capacità empatiche, cioè non riesce a mettersi nei panni dell’altro anche se messo di fronte alla sua sofferenza. Per quanto concerne gli aspetti familiari ed educativi, va detto che molti stili educativi possono essere fonte di disagio e quindi dar luogo a comportamenti devianti.
Generalmente le esperienze fatte in famiglia, i comportamenti osservati tra le mura di casa, vengono riproposti nella relazione con i coetanei. Da una parte, quindi, un bambino che in famiglia assiste a scene di violenza, per identificazione e apprendimento tende a riportare questo comportamento in classe o tra i suoi pari. Dall’altra, un bambino che ha vissuto sulla sua pelle la violenza, può essere predisposto a subirla anche fuori dal nucleo familiare. In genere, infatti, il violento sceglie il ragazzo più debole, la cosiddetta vittima designata.
Cosa fare per fronteggiare la violenza e il bullismo tra i giovani?
«Non si diventa violenti o bulli all’improvviso. Si dovrebbe intervenire, al momento giusto, cercando di direzionare i ragazzi sin dall’infanzia. In una parola, bisogna avere il coraggio di parlare e di fare prevenzione. È utile alla prevenzione del bullismo ciò che migliora l’autostima dei ragazzi, l’apertura verso la diversità, la capacità di sentire e comprendere le emozioni degli altri, il senso di partecipazione e responsabilità, la possibilità di affrontare i conflitti invece di negarli.
Il lavoro di prevenzione del bullismo e di promozione di condotte sane si svolge su diversi livelli: con la scuola, con la classe, sia attraverso percorsi che riguardano le modalità didattiche (es. apprendimento cooperativo, invece che competitivo) sia con un lavoro specifico sulle dinamiche di gruppo, per promuovere la cooperazione e la solidarietà, la mediazione del conflitto tra i pari, l’apertura verso la diversità; poi si lavora con i singoli studenti, con la rete istituzionale e dei servizi del territorio e soprattutto con la famiglia. L’educazione, in questo senso, deve avvolgere tutti: la scuola che deve superare la logica del colpevole e la famiglia che a sua volta deve abbandonare l’atteggiamento giudicante nei confronti della scuola, oggigiorno ahinoi sempre più presente.
Infine, i genitori possono essere più presenti. Una mente in crescita va seguita e indirizzata. Spesso, alla base degli episodi più gravi c’è un disagio familiare e quello che non si dice è che il “bullo”, prima di essere carnefice, è stato vittima. Probabilmente vittima di aggressività che non è solo fisica ma, nella maggior parte dei casi, verbale e psicologica».
Quali strumenti hanno i ragazzi per difendersi dal bullismo?
«Sia i ragazzi che i genitori, di fronte a questo problema, spesso si sentono impotenti ed impauriti; hanno bisogno di trovare strategie di difesa che possano aiutarli ad uscire dal ruolo di vittima (nel caso degli adolescenti o pre-adolescenti) oppure a tutelare i propri figli o allievi nel caso di adulti che assistono a queste dinamiche.
Ci sono i diversi modi per difendersi concretamente dal bullismo. Personalmente do particolare valore alla comunicazione, al bisogno di verbalizzare e condividere uno stato di malessere. Una strategia positiva, tutt’altro che banale, è quella di rivolgersi ai propri genitori, agli insegnanti, agli amici o ai fratelli, per chiedere aiuto.
Di certo è importante che i ragazzi possano rintracciare una persona vicina, un adulto di riferimento a casa, a scuola o altrove, verso cui nutrano sentimenti di stima e di fiducia, dalla quale si sentano compresi, accettati e non giudicati».
Le scuole della Sicilia sono attrezzate per fronteggiare il bullismo?
«La scuola ha ormai una vasta autonomia nelle scelte che concernono gli insegnamenti, le attività curricolari ed extracurricolari, le finalità educative ed organizzative.
L’impegno contro il fenomeno in questione, in ambito scolastico, è quello di inserire presso ogni istituto iniziative di prevenzione e contrasto del bullismo, adottando appropriate campagne di sensibilizzazione. Avvalersi della figura dello psicologo proprio in termini di prevenzione e di promozione di una cultura che educhi al rispetto dell’altro, specie delle sue emozioni, potrebbe essere un utile strumento di cui attrezzarsi per fronteggiare il bullismo prima ancora che questo si presenti».
Qual è e quale dovrebbe essere il ruolo delle famiglie?
«La famiglia è luogo primario per la prevenzione del bullismo. I valori della famiglia sono una bussola che aiuta i ragazzi ad orientarsi nel mondo circostante. I genitori devono farsi promotori di valori. Essere aperti alla diversità, sanzionare i comportamenti sbagliati dei figli, ascoltare, non giudicare, lasciare sempre aperta la porta del dialogo, condividere e interessarsi anche ai problemi che sembrano piccoli. Questi solo alcuni degli ingredienti per costruire relazioni calde, di qualità».
Cosa direbbe ora a un ragazzo (o una ragazza) vittima di bullismo e cosa direbbe, invece, a un bullo?
«“Non sei solo/a”! Ogni sentimento ed emozione provata, “bella” o “brutta” che sia, va legittimata, non necessariamente agita. Averne sufficiente consapevolezza è un buon punto di partenza per chiedere aiuto, cosa di cui, anche se difficile, non bisogna vergognarsene».
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