La nottata a Vulcano trascorre esattamente come una normale nottata a Messina.
Io passeggio con Elisabetta in braccio, Francesco si lamenta e Dario, finalmente dopo ore di sofferenza, dorme.
Così, perfettamente ritemprati alle 8 e 30 circa, i bambini ed io, decidiamo di lasciar riposare almeno un’altra ora l’infortunato e ci rechiamo nella terrazza dell’Hotel per fare colazione.
Francesco ingurgita nel giro di un minuto ben due cornetti alla marmellata, rispondendo alle rimostranze da me manifestate con riferimento alla sua incontenibile golosità, asserendo che il secondo cornetto lo mangia per non sprecare i soldi della colazione che abbiamo pagato anche per suo padre che, come so bene anche io, non è in condizioni di mangiare a causa del suo malessere.
Mentre discuto con Francesco ho perso il conto delle confezioni di nutella che Betty scarta e lecca con una voracità da guinness.
Mentre la rimprovero cercando di insegnarle a mangiare educatamente, lei mi guarda e vomita sul tavolo.
Faccio un bel respiro e con l’aiuto del Signore, da me più volte invocato, riesco a pulire alla meno peggio a prendermi in braccio Betty e per mano Frank ed a tornare in stanza.
Dopo circa due ore, e due toradol, siamo tutti pronti per andare a mare, dove ci aspettano svariate coppie di amici con bambini al seguito oltre ad una moltitudine di estranei che al termine della giornata, un po’ per la nostra allegria, un po’ per la nostra invadenza, un po’ per quel meraviglioso atteggiamento confidenziale tipicamente meridionale, saranno diventati nostri amici come sempre ed in qualsiasi situazione accade.
Mossa da un ingiustificato spirito autolesionistico adagio il mio telo da mare accanto a quello di Eliana un’amica alta, mora, con gli occhi verdi, il sedere da brasiliana e soprattutto le braccia più toniche mai esistite sulla faccia della terra.
Ok. Sposto il telo e mi siedo accanto a mio marito mentre raggiungo telefonicamente Claudia un’altra amica, e le comunico che non dobbiamo asssssssssssolutamente mai più frequentare Eliana. Poi mi ricordo che Claudia bionda, formosa e con gli occhi turchesi.
La mattinata, e parte del pomeriggio, volano così, tra una risata, un pettegolezzo, le liti dei bambini per accaparrarsi secchielli e palette ed i miei tentativi di abbronzare quella parte delle cosce sulla quale si riversano i glutei ormai totalmente ipotrofici che so già a fine agosto spiccherà nel suo fosforescente contrasto con il resto del corpo abbronzato.
Così, dopo ore ed ore di discussioni condotte in piedi, con le braccia dietro la schiena, tirando su il sedere con due dita, il risultato è che ho le solite due strisce bianche ben delineate tra cosce e fondo schiena, due punti bianchi campeggiano sulle natiche, uno a destra e l’altro a sinistra e, per di più, ho i crampi alle braccia trattenute in una posizione innaturale per troppo tempo.
Comunque ormai è sera, dopo bagni in piscina, docce, asciugatura di capelli e quant’altro siamo pronti per andare a cena con il mio migliore amico di sempre.
Per guadagnare spazio ho portato nel trolley un solo abito nero, di cotone, avvitato, scollo a barca, gonna a campana…uhmmmm…è una delizia, ma lo ricordavo di un paio di taglie più grande.
Poco male, la regola più importante da non dimenticare mai è andare a mangiare con vestiti stretti così dopo il primo boccone non si può mangiare più altrimenti si strappano.
Mi infilo la mia mise e chiedo a Dario per favore di tirare su la zip laterale.
Mi guarda perplesso e dice: <<Vittoria, questo vestito non ti entrerà mai.>>. Se ne va nell’altra stanza.
Resto scioccata davanti allo specchio.
La mania di essere sincero, a cui mio marito non riesce a trovare contegno, ci porterà al divorzio.
Mi trema il labbro, gli occhi si riempiono di lacrime, mi giro di profilo, in effetti mancano un paio di metri di tessuto.
NO! Io indosserò questo vestito stasera e basta! Mi dirigo verso Dario con gli occhi a fessura e gli intimo di provare a tirar su la zip o lo uccido.
Sembra spaventato, poi ride, poi di nuovo si preoccupa, credo stia cercando di capire se la mia è davvero una richiesta.
<<cosa aspettiiiiii???>> urlo.
Si convince. Tira su un pezzo, arriva fino quasi a metà si arresta all’altezza del reggiseno per riprendere fiato, sta sudando, sento che la zip sta per cedere, lui accompagna lo sforzo con smorfie e mugugni, io trattengo il fiato e sono paonazza, sudo anche io, mi si sono arricciati i capelli.
Dario mi viene davanti con le mani sui fianchi.
Mi mostra l’indice della sua mano destra.
<<mi esce sangue>> dice <<e ti ho rotto tutti i capillari del fianco>>.
Lo guardo come una bambina delusa.
<<okkkkkkkkkk metto il prendisole. Andiamo che è tardi>>.
Ci accomodiamo alle 20 in punto e non senza polemiche da parte di chi solitamente cena alle 23, in un locale, in cui durante il giorno si vende il pescato e la sera si cucina il pesce rimasto invenduto.
Sono felice. È il locale giusto per me, per nulla chic, posate e piatti di plastica e materie prime eccellenti.
La nostra tavolata è di venti persone abbiamo deciso di sederci tutti di fronte ai bambini che mi commuovo a guardare nella loro trascinante felicità.
Io sono accanto a Nunzio, appunto, il mio migliore amico ed a sua moglie, Viviana, anche lei mia amica, ovviamente.
Il cameriere inizia ad elencare il menù <<abbiamo alicimarinategamberettidinassacalamarifrittitotaniripienipescespadallagrigliaspigolaalsaleinsalatadipolposardeabeccaficopolpettedineonataspiedinidigamberiinvoltinidispatolapepatadicozzeevongole ditemi, cosa gradite?>>.
Mi giro di scatto, voglio bruciare tutti sul tempo, ed urlo <<per me può portare tutto grazie!!!>>.
Viviana mi guarda inorridita e con la solita calma con cui scandisce ogni parola si rivolge al cameriere per accennargli qualcuna delle sue allergie <<mi scusi, ci sarebbe un problema, siccome io sarei moooooooolto allergica a crostaceifunghimelanzanefagiolicecilenticchieoliodisemidigirasoleoliodiarachidioliojhonshonariaacquaefuoco se non le dispiace prenderei un’acciuga a vapore senza condimento>>.
La incenerisco con lo sguardo. Ecco perché peserà si e no 30 chili. Appena rientro a Messina faccio i test alimentari e se non ho almeno 57 tra intolleranze ed allergie, giuro che sparo all’analista.
Fortunatamente arrivano enormi piatti stracolmi di cibarie e la mia grassezza è pensiero che automaticamente rimuovo.
Ciò almeno fino a quando Nunzio non si gira mi guarda con gli occhi spalancati e dice: <<Vittoria ti giuro, non ho mai visto una ragazza mangiare quanto te!>>.
Effettivamente il tono non era di critica ma per poco non mi va di traverso una branchia di totano.
Stasera dev’essere il festival della lusinga.
Allargo le narici e sospiro.
<<sono molto offesa Nunziello!>> dico
Nunzio, a quel punto, si sente in dovere di precisare e per cercare di farmi sentire meno a disagio dice: <<cioè, scusa tesoro, volevo dire che non ho mai visto mangiare una ragazza quanto ME!!>>.
Fortunatamente domani rientriamo.
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