Arriva sempre, nella vita di una mamma il momento in cui osservare con le lacrime agli occhi un enorme zaino dal quale fuoriescono solo una testolina e due piedini, allontanarsi su per le scale di una scuola.
In quel momento, nell’immaginario di una madre c’è il desiderio che il figlio intraprenda la stesura dell’opera più importante della sua vita, che inizi a plasmare il proprio futuro scoprendo le proprie attitudini, che comprenda il significato della parola “sacrificio”, l’unica a dare senso al quotidiano, che getti le basi per i sentimenti più forti e duraturi che nel corso dell’esistenza lo accompagneranno e lo aiuteranno a rialzarsi se e quando cadrà.
Eccomi qui, giunta anche io a questo appuntamento importante, pronta a concentrarmi per commuovermi come una signora mamma deve fare.
Sono assorta, le mie amiche mi hanno suggerito argomenti scelti appositamente per piangere: devo pensare al parto, alla prima parola pronunciata, ai primi passi. Ok sono pronta.
Sono proprio di fronte alle scale della scuola, tramutatesi in immaginario percorso per assurgere all’infinito.
Francesco mi abbraccia forte ed inizia l’ascesa verso il suo futuro.
Ma, proprio mentre gli occhi mandano impulsi al mio cervello imponendogli di piangere, ecco che la “mammachenessunovorrebbeincont rare” mi affianca e comincia a subissarmi di domande su mio figlio e su suo figlio.
“MACHEBELLLOOOOOOOOOOO!!!!! FRANCESCO E ROMOALDO SONO COMPAGNETTIIIIIIIIIII!!!!! scusasaiacheoraescono? echeorariofanno? hosentitodirecheinclasseconnoi c’ètiziopoic’ècaioesentimalame straparelascimolticompiti? Esentimadovehaipresolozainoafr ancesco? Esentieladivisadaoggiodadomani ?”.
Inizia a tormentarmi il braccio, lo stringe, lo tocca, mi fa scivolare la borsa.
Torno al presente, la guardo interrogativa vorrei spiegarle che ci sono 45 gradi all’ombra e che vorrei godermi questo momento in solitudine ma lei non mi lascia spazio.
Allora le chiedo la cortesia di ripetermi le singole domande in modo che possa darle una risposta.
Ma lei non ascolta ha gli occhi da invasata e continua a scuotermi come un bimby impasterebbe la farina per farne pane.
Francesco è salito. Non lo vedo più. Niente zaino, niente gambette, niente testolina. Si è incamminato per i fatti suoi, senza girarsi indietro, senza cercarmi, come del resto ha sempre fatto da quando è nato, appartenendogli uno spirito indipendente, spavaldo ed intraprendente.
Adesso sì che sento le lacrime scendere giù, la sensazione che i figli non abbiano bisogno di te è innaturale e, se per certi versi ti rincuora, per altri mina intimamente il ruolo che hai costruito intorno alla tua figura genitoriale.
Ma adesso, il problema non è questo senso di frustrazione infinito che mi assale, ma cercare di arginare la tempesta di richieste di questa mignatta parassita e, soprattutto, fargliela pagare.
Ho due alternative.
La prima è darle una testata in volto e poi allontanarmi fingendo indifferenza lasciandola riversa sul terreno.
La seconda è trovare una scusa carina e credibile per abbandonarla mentre ancora ha la bocca aperta e non può replicare.
Con la prima proverei una soddisfazione infinita.
Con la seconda mi toccherebbe sorbirmela anche domani.
Poi, ad un tratto, l’illuminazione.
Le dico “gioia scusaaaaaa, ma sai devo scappare a fare una puntura al Policlinico. Devi sapere che quest’estate ho preso la malaria durante un viaggio e continuo a curarmi anche a scopo di profilassi perché sono molto infettiva”.
Mi rendo conto di farneticare, ciò che dico non ha nessun significato compiuto in senso medico. In un attimo ringrazio Dio che Dario abbia già guadagnato l’uscita altrimenti ci ammorberebbe illustrandoci tutte le aberrazioni in campo sanitario che mi sono permessa di compiere.
Ma la cosa importante è che lei abbia abboccato.
È terrorizzata. Vorrebbe farmi domande, ma si blocca.
Assume un colorito verdastro e dice solo “ma veramente?” e scandisce queste due parole con tale lentezza da non sembrare neppure lei.
Allora continuo galvanizzata “siiiiiii!!!! Veramente!!!! Scusami cicciabellaccicciabellatesorog ioiaamoreebroduiciciri ci vediamo domani. Non ti bacio bellabellabellissimascssaballe che ho paura di contagiarti.”.
Uhmmmmm… Lo sgomento dipinto sul suo volto mi da’ una tale soddisfazione che, adesso, quasi mi dispiace andar via.
Rimarrei volentieri in piedi sui miei tacchi vertiginosi ad assaporare questa dolce vendetta.
“Seeeeeeeeenti tessssooooooooooooro ma oggi pomeriggio perché non venite a casa mia con Romoaldoooooooooo. Francesco sarebbe feliciiiiiiiiiiiiiiiissssimooo ooo.”.
Ma, adesso, è lei a voler andar via.
Mi ringrazia, ma ha fretta e non può fermarsi a dialogare ancora e per oggi pomeriggio purtroppo ha già un impegno.
Speriamo di essercela tolta di dosso per tutti e 5 gli anni delle elementari.
Vittoria Gangemi
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