La Vittoria di ogni giorno (le giornate no)

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la_vittoria_di_ogni_giornoQuando una giornata comincia male, ho modo di rendermene immediatamente conto.
Di solito la sveglia è anticipata di circa due ore rispetto al solito, con notevole stress psicofisico della sottoscritta.
Ciò, sempre a causa dei disturbi del sonno ormai conclamati dei miei figli.
Chi russa per via delle adenoidi ingrossate, va in apnea si sveglia e piange, e chi, svegliato dal pianto, piange a sua volta. Così, alle quattro e mezza, dopo due ore di veglia, dondolii, addormentamenti e risvegli vari, dopo aver combattuto mostri e raccontato di principesse, dopo aver attraversato tutte le fasi umorali che una persona possa vivere, dopo aver scoperto che dormire in piedi non è poi così difficile e conscia che la perdita di sonno favorisce il dimagrimento, decido di dare inizio alla mattinata.
Abbandono il mio letto ormai sovraffollato, trascino lungo il bordo il cuscino per impedire che i bambini cadano per terra e li abbandono con mio marito, che giace riverso sul lato destro del letto, sdraiato in uno spazio vitale di 20 cm con un piede di Betty in bocca ed il sedere di Frank sulle gambe.
Mi addentro nel salone buio, che mi separa dalla cucina, agognando un caffè.
Metto la moka sul fornello. Accendo il gas.
Ricordo di non aver messo l’acqua. Tolgo la moka dal fornello. La svito. Mi brucio. Mi rendo conto di aver messo l’acqua. Alzo gli occhi al cielo. Rimetto la moka sul fornello.
Mi addormento sul telefono che mi suggerisce nuove amicizie su fb.
Nel frattempo il caffè bollendo, si è sparso sui fornelli. Mi sveglio con la sensazione che vada a fuoco la cucina e mi verso il millilitro di liquido avanzato nella tazzina. Lo osservo con attenzione.
Prima di berlo potrei leggere il fondo. Si disegnano sagome terrificanti e capisco che la sensazione di oppressione che provo mi accompagnerà per tutto il giorno.
Cerco di lavarmi ma si svegliano i bambini, preferisco occuparmi di loro prima di approdare al momento più drammatico nella vita di una donna: la scelta degli abiti da indossare.
L’abbigliamento, inteso come alternativa di vestire capi posseduti, o immaginati, o ricordati ma perduti e come tutto ciò che è connesso a tale scelta, rappresenta per una donna causa di disperazione assoluta, di malumore, di nervosismo, di disagio, di incomprensioni con il partner fino a giungere, in alcuni casi, a rappresentare il principale movente per i delitti di omicidio in famiglia.
Si trascorrono ore davanti all’armadio. Si creano abbinamenti, si curano i dettagli, si opziona l’intimo invisibile o quello visibile, dipende dalle occasioni, ma la tragedia si consumerà comunque quando, al momento della prova, l’indumento si scucirà, o sarà stretto o vestirà magicamente in modo completamente diverso da come vestiva la sera prima.
In ogni caso, adesso ho fretta, è tardi. Devo decidere velocemente in merito al mio outfit.
Mi addentro in camera da letto facendomi luce con il cellulare per non svegliare mio marito. Apro l’armadio e comincio la selezione.
Vestitini: MAI! Gonne: MAI! Jeans: l’unico paio che mi entra è a lavare. Pantalone nero: strappato ieri in udienza all’altezza della coscia perché troppo stretto. Ritrovo i pantaloni di quando ero incinta. Li provo. Menomale! Mi entrano! Rigiro l’elastico che si trova all’altezza della pancia e creo una specie di salvagente di tessuto all’altezza della vita.
Perfetto.
Maglietta troppo corta, troppo lunga, troppo scollata, troppo colorata, troppo poco colorata, troppo stretta, troppo larga.  Camicia bianca. Un must. Giacca blu elettrico. Stringe sulle braccia ma è il colore dell’anno.
Pronta per l’udienza.
Lascio i bambini all’asilo. Mi si rompe un tacco. Torno a casa e mi cambio le scarpe. Un ultimo sguardo d’insieme. Adesso ho le scarpe rosa, la camicia bianca, il pantalone beige e la giacca blu elettrico. È tardi, decido di rimanere vestita così, tanto ho la borsa verde che lega tutto.
Mentre vado in tribunale, mi convinco che sono una donna matura e che il fatto che sia vestita come un cubo di rubik,  e che ne ricordi anche la forma, non intaccherà la mia autostima, né danneggerà oltremodo la mia già pessima giornata.
Scorgo una farmacia. Non so se entrare e comprare le compresse dimagranti, qualche tisana, una crema anticellulite e le barrette sostitutive dei pasti. Mi guardo riflessa sulla vetrina. Mi ripeto le parole di autostima di poc’anzi e penso che sto facendo un training del kaiser.
Basta. Entro.
Il farmacista è un gran figo con gli occhi di ghiaccio. Lo guardo. Mi preparo mentalmente. Prefiguro la conversazione “ehm buongiorno, mi scusi, ho appreso dalla TV che la cellulite è una malattia, ehmmm siccome credo, beh, si, insomma, sto per morire soffocata dalla buccia d’arancia, ecco, mi chiedevo…”.
Troppo tardi, due arzille vecchiette mi hanno soffiato il posto e chiedono, senza imbarazzo alcuno, pacchi di ‘Tena lady’.
Mi giro su me stessa pronta ad uscire e scorgo la bilancia. Un tuffo al cuore. È un sistema che sa calcolare anche la massa grassa e per soli 5 euro mi rilascerà un programma di dieta personalizzata. DEVO pesarmi. Salgo su questa navicella futuristica, inserisco le monete ed una voce meccanica inizia ad urlare “ATTENZIONE! SI PREGA DI RIMUOVERE SCARPE, BORSE, GIUBBOTTI, armi da fuoco, armi bianche, i pad, computer, gioielli pesanti, buste della spesa, bambini, sedie a rotelle, attrezzi da lavoro. IL PESO VA CALCOLATO SOLO CON GLI INDUMENTI NECESSARI.”.
“ZITTA DISGRAZIATAAA!!! Non vedi che mi sono tolta anche la giacca? Pesami e stai zittaaaa. Ok mi levo le scarpe ma tu devi parlare pianooooo”.
Sto comunicando con una bilancia, mi guardo intorno, fortunatamente non mi ha vista nessuno.
Torno su. “ATTENZIONE!!! Afferrare le maniglie laterali con le mani, posizionare i piedi esattamente sul disegno, tenere le spalle dritte, sollevare il mento, sorridere, petto in fuori, pancia in dentro, zigomi alti, labbra carnose, infilare una mano in tasca, toglierla, non gravare troppo di peso la gamba destra, ora la sinistra, mantenere le ginocchia simmetriche, guardare fisso verso la spia rossa”. Mi riscopro a fare più smorfie di quando imboccavo i miei figli di omogeneizzati. Sembro una pazza in preda ai tic.
Odio questo aggeggio maledetto e lo intimidisco a denti stretti per paura che modificando la posizione ricominci a dirmi come devo collocare ogni parte del mio corpo “o mi pesi o la tua storia nel mondo finisce qui”.
Sotto il peso della minaccia, si calma e sussurra “La sua altezza è di un metro e 56 cm”. Che umiliazione!
“Bilancia maledetta! mi hai fatto togliere le zeppe! E COMUNQUE IO voglio sapere solo quanto pesoooooo e lo devi dire a voce bassaaaaa”. Adesso sono io ad urlare.
“ATTENZIONE! LA SUA MASSA GRASSA è SUPERIORE DEL 35% A QUELLA MAGRA. SI CONSIGLIA ATTIVITA’ FISICA MODERATA BICIPALESTRADANZASCISCIDIFONDOMOTOCROSSSCHERMANUOTOPALLANUOTOPALLAAVOLOBASKETGOLFPATTINAGGIO…”.
O Signore Santo! Ma che idea mi è venuta? Sgattaiolo fuori come una ladra. Oggi pomeriggio mando Dario a comprarmi pillole e tisane drenanti, ora mi mangio un bel cornetto alla nutella e vado a lavorare.
Vittoria Gangemi

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