“Infamante, offensivo, oltraggioso”. Sono state queste le parole più utilizzate negli ultimi giorni per descrivere il quadro appeso in Consiglio Comunale “Allegoria della restituzione di Messina alla Spagna” realizzato nel 1678 dal pittore Luca Giordano. Per capire meglio il contesto storico in cui è stato pensato e cosa effettivamente rappresenti abbiamo fatto qualche domanda a Saverio Di Bella, professore di Storia Moderna oggi in pensione dopo 40 anni di insegnamento presso l’Università degli Studi di Messina.
Si tratta di una discussione che ritorna ciclicamente a ogni cambio della guardia in Consiglio Comunale da quando è stato appeso nel 1994. Un dibattito apparentemente senza soluzione, che divide la città in due schieramenti: da una parte chi lo reputa offensivo e ne chiede la rimozione perché celebrerebbe la vittoria della Spagna su Messina; dall’altra chi invece ritiene che il suo significato sia stato travisato o che, in ogni caso, si tratti di un’opera d’arte di grande valore, sebbene quella presente in Aula sia in effetti soltanto una copia del dipinto realizzato a conclusione della Rivolta di Messina.
Qualche giorno fa la questione è stata riaperta da Serena Giannetto, vicepresidente del Consiglio Comunale ed esponente del Movimento 5 Stelle, che ha chiesto la rimozione dell’opera di Giordano perché ritenuta “offensiva, umiliante e infamante” per Messina. L’istanza non è stata accolta dall’Aula e il quadro non è stato rimosso, ma è già pronta una petizione per portare avanti questa battaglia.
Per fare un po’ di chiarezza sulla questione, sul momento storico rappresentato nel quadro, la fine della Rivolta di Messina del 1674-78, abbiamo posto qualche domanda al professor Saverio Di Bella, uno dei maggiori studiosi della ribellione antispagnola.
Professore Di Bella, quale momento della storia di Messina e dell’Europa è richiamato nel quadro di Luca Giordano?
«La Rivolta di Messina. È una guerra civile, i messinesi sono schierati su due fronti: uno filospagnolo e uno antispagnolo. Si tratta di una divisione interna che può essere compresa solo tornando indietro di qualche anno, alla rivolta popolare del 1672, nata dalla fame, contro lo sfruttamento da parte del patriziato (il ceto nobiliare) e appoggiata dal governo spagnolo. Il Senato messinese viene riformato e viene ristabilita al suo interno la parità tra rappresentanti del popolo e del patriziato. Quando per una serie di circostanze fortuite, di morti e di supplenze, nel 1674 il Senato torna a essere esclusivamente patrizio, il ceto nobiliare si vendica contro quel popolo che aveva osato alzare la testa e rivendicare uguali diritti, e contro la Spagna che lo aveva appoggiato e da cui esige maggiori privilegi e autonomie. Da qui comincia la rivolta che si concluderà nel 1678 con la vittoria delle armate spagnole e quindi di quella parte della città che si era schierata con Madrid».
Ma quindi è una rivolta della nobiltà?
«Sì, a ribellarsi non è l’ala più avanzata, ma paradossalmente quella più conservatrice. È una fazione di patrizi prepotenti, ricchi, abituati al comando, che non tollerano l’offesa da parte di un popolo che gli ricorda che la gestione del potere in città li vede sullo stesso piano. Sono in gioco interessi concreti e materiali che riguardano i cittadini, la distribuzione delle ricchezze e delle risorse. Solo secondariamente entrano in campo gli interessi di Spagna e Francia. Quindi la lettura nazionalistica che è stata data della Rivolta di Messina addirittura come anticipazione del Risorgimento è una lettura che per certi aspetti si può fare, ma che è di parte. E se la partigianeria è accettabile nel momento dello scontro, tre secoli dopo mi pare ridicola. In realtà noi siamo i discendenti di quella Messina filospagnola, perché i messinesi che hanno perso, quelli a favore della Rivolta, dopo la sconfitta sono stati esiliati o sono fuggiti».
Qual è il ruolo di Messina nel Mediterraneo ‘600? Qual è il contesto in cui scoppia la Rivolta?
«Messina nel ‘600 è una città ricca, tanto da poter pensare e realizzare la Palizzata, un’opera imponente non solo per quei tempi. Ha rilievo a livello internazionale perché ha la zecca ed è tra le città che stabiliscono il valore della moneta. I suoi mercanti viaggiano per tutta l’Europa e il Mediterraneo, Caravaggio passa da Messina. È tra le città più popolose del continente, ha un’industria della seta che occupa più di 10 mila lavoratori, ospita tornei e fiere internazionali. E poi ha un porto che per l’epoca è straordinariamente importante: la falce, questo dono della natura, per secoli le ha dato una centralità nel Mediterraneo che pochissime altre città hanno avuto. Da questo punto di vista gli spagnoli le hanno riconosciuto un ruolo particolare».
Cosa pensa del dibattito in corso sull’opera di Giordano?
«È la spia del difficile rapporto di Messina con la propria identità e con la propria storia. In generale sono contrario alla rimozione di testimonianze artistiche. Non avrei tolto nemmeno il volto di Benito Mussolini dal mosaico della stazione marittima. Questo nonostante il mio giudizio sulla figura sia totalmente negativo: sono per la libertà e quindi contrario a qualsiasi dittatura. Però la condanna del regime non mi porta ad essere iconoclasta, a voler distruggere il nostro patrimonio artistico. Mussolini c’è nella storia? Sì. C’è nei libri di storia? Sì. E allora lo possiamo vedere anche nel mosaico.
Sul quadro di Giordano è sbagliata la premessa e dunque la conclusione. La storia va raccontata nel rispetto dei fatti e dei documenti e in questo caso va inquadrata non solo nel contesto della celebrazione della grandezza spagnola ma anche in quello della guerra civile, della lotta tra messinesi che ha visto la vittoria di una fazione sull’altra».
Il quadro di Luca Giordano è bello. Siamo in grado di distinguere tra bellezza e politica, o no? Io spero di sì.
La seconda immagine raffigurante il quadro di Luca Giordano è stata reperita sul sito historiaregni.
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Nessuno dice che debba essere distrutto, ma ci sono 2 considerazioni da fare:
1) non è l’originale ma una copia che può essere sostituita con un quadro originale
2) non è il luogo adatto per ciò che rappresenta, meglio sia in un museo che nella casa dei cittadini
E’ una volgare copia fotografica e poiché Messina e’ rappresentata oltraggiata, presa a calci, diffamata, spogliata dei suoi privilegi portati in Spagna, dichiarata morta civilmente, va subito rimossa e magari bruciata in un pubblici rogo in piazza Duomo, la stessa dove l’infame Benavides fece radere al suolo il Palazzo Senatorio e sul nudo terreno fatto spargere il sale
Dalla spiegazione del prof. Di Bella sembrerebbe che non sia l’intera Messina a essere presa a calci ma quella casta di patrizi (nobili) che aveva provato a ribellarsi al governo spagnolo, contrastando peraltro la presenza dei ceti più poveri in Senato. Un pezzo di storia che ci ricorda quanto in alto era arrivata Messina (senato, zecca, cultura) e quanto in basso è scesa quando guidata da nobili arraffatori che si sono rivoltati per ottenere più potere. Alla luce di questa nuova prospettiva potrebbe essere il quadro giusto da mostrare nell’Aula, quasi come fosse un monito per chi persegue interessi propri invece che quelli della comunità.