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Ágnes Heller e la forza del dialogo. “Tutto esaurito” all’Aula Magna dell’Università

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tn heller universitàTanto minuta quanto forte, attiva e operosa è la sua mente. È questa l’Ágnes Heller, 83 anni, che ieri ha fatto il tutto esaurito nell’Aula Magna dell’Università Centrale di Messina. Un incontro importante con una pensatrice feconda, che più volte nella sua vita si è messa in gioco e ha ri-pensato le proprie posizioni, il proprio modo di guardare al “mondo”.

Filosofa ungherese, visse la guerra, fu rinchiusa a 15 anni nel ghetto ebraico di Budapest, perse il padre ad Auschwitz, sopravvisse all’Olocausto, fu allieva di Georgy LuKács, conobbe la persecuzione sotto il regime sovietico (spiata ovunque, impossibilitata a lavorare e a pubblicare le proprie opere). Affrontò l’esilio e dovette reinventarsi rivivendo nuovi inizi, sradicata dal proprio paese natale si trasferì prima in Australia e poi a New York (dove ancora oggi insegna alla “New School”), è recentemente tornata in patria. Molto conosciuta in occidente per la formulazione della teoria dei “bisogni radicali”.

Ieri, a Messina, ha presentato la sua ultima fatica editoriale, il volume I miei occhi hanno visto (Il Margine), una lunga intervista su aneddoti della propria vita e sul suo pensiero, redatta insieme a Luca Bizzarri e Francesco Comina. L’incontro è stato organizzato dal  “Centro Europeo di Studi su Miti e Simbolo”, diretto dalla professoressa Domenica Mazzù, in collaborazione con l’Associazione “La Rosa Bianca”. Sono intervenuti: la professoressa Domenica Mazzù; la professoressa Paola Ricci-Sindoni; Giovanna Costanzo dell’Università di Messina;  Giulio Chiodi, presidente del “Centro Europeo di Studi su Miti e Simbolo”; Urbano Tocci, consiglio nazionale “La Rosa Bianca”.

Dopo i saluti di rito, “La Rosa Bianca” — che prende il nome dal gruppo di studenti cristiani che, nel 1942-1943, si oppose con la nonviolenza al regime della Germania nazista —  si è presentata come un’associazione che porta avanti un’attività politica e di studio contro ogni totalitarismo, muovendosi trasversalmente ai vari credo religiosi e politici e confidando fermamente nel primato della coscienza e nel metodo del dialogo come sintesi tra le posizioni personali e quelle dell’ “altro”.

E di dialogo, lotta al totalitarismo, bellezza, libertà, si è parlato nel corso dell’incontro. Il professor Chiodi, ripercorrendo il cammino della filosofa, ha definito il pensiero della Heller come un approfondimento sulla libertà, la critica, la consapevolezza di vivere in un mondo ricco di contraddizioni e il suo ultimo libro come «una sorta di sentiero laterale sui problemi legati alla vita personale della filosofa». Ha parlato anche della cifra che contraddistingue l’intervista — alla base del volume di recente pubblicazione presentato ieri —, il suo essere un movimento di pensiero costante, sempre rinnovato, uno strumento che permette di vedere il problema da un diverso punto di vista e soprattutto di affrontare se stessi. Nell’intervista, infatti, la parola non rimane ferma ma si trasforma in un dialogo in movimento.

Una donna rimasta sempre desta e mai sottomessa, neanche ai propri idoli, una pensatrice di straordinaria forza, in grado di resistere nel tempo bruto del Novecento e di restituire trasparenza alla vita: così ha definito la figura della pensatrice la professoressa Ricci-Sindoni. Quello della Heller — ha proseguito la docente — è stato uno sforzo di orientare, dirigere e rileggere il presente mediante la pratica dialogica, non costruendo una mappa normativa indiscutibile ma mettendo a fuoco ciò che è progressivo. L’incontro intellettuale come scambio di amicizia rimane il “fondamento” del suo pensare scevro da concetti “immortali”.

Quando a prendere la parola è stata lei, Ágnes Heller, l’attenzione del folto pubblico, intervenuto per ascoltarla e dialogarvi,  si è concentrata sulle sue parole, sul suono “duro” del suo inglese, sulla valanga di pensieri, sul loro incedere deciso, chiara espressione di una donna che al pensare, come scambio continuo, ha dedicato interamente la propria esistenza.  

La filosofa ha raccontato di come la filosofia non utilizzi più quelle categorie concettuali oggettive che un tempo l’hanno definita, che le uniche due categorie rimaste sono quella del “noi” e della “verità”. Un aspetto, quello della mancanza di un sistema, che rappresenta sì una perdita, ma che ha contribuito  a formare una filosofia contemporanea molto più personale, che affronta singolarmente le diverse questioni. Non esiste più la Risposta ma la migliore possibile, «altri potrebbero trovare risposte diverse dalla mia al medesimo problema — ha detto — ma essere nella verità significa far parte di un dialogo che cerca la verità».

E sul totalitarismo, che ha segnato la sua stessa esistenza, ha precisato che il fondamentalismo, l’ideologia, non la modernità, sono le prime cause del suo venire alla luce. La modernità vi è legata perché produce sia il totalitarismo che il pluralismo e la possibilità di negare entrambi. L’assetto totalitario è tale — ha rimarcato — perché mette al bando la pluralità affermando il pensiero unico-ideologico.

Sulla bellezza, altro ambito di ricerca del suo pensare, la Heller ha detto che questa non potrà essere in grado di salvare il mondo: «Non concepisco il concetto di un mondo che globalmente può essere salvato. Comprendo invece il salvarlo da un singolo pericolo».

Di questo e altro ha raccontato la filosofa, e tanto altro ancora del suo pensiero può essere approfondito attraverso la lettura dei numerosi volumi che ha scritto e pubblicato, ma le sue riflessioni, ieri, sono state davvero il frutto di un dialogo con chi ha partecipato e ha avuto il desiderio e avvertito la necessità, l’urgenza di domandare. 

 

Giusy Gerace

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