C’è un bella canzone di Brunori Sas che dice: il mondo si divide fra chi pensa che i violenti debbano essere trattati con violenza e chi pensa che con la violenza invece non si ottenga nient’altro che violenza. Musica e parole che accompagno questi 365 giorni passati ad ascoltare telegiornali, politici, opinionisti, esperti di geopolitica, corrispondenti che parlano della guerra tra Ucraina e Russia.
Da un anno, il conflitto tra Oriente e Occidente sta attraversando le esistenze umane; conflitto che ha portato alla morte di circa 42.295 persone, almeno 15.000 dispersi, 140.000 edifici distrutti (fonte Reuters). Numeri che sono vite, speranze, sogni svaniti nel nulla. Così abbiamo chiesto a due donne che vivono a Messina, una russa e l’altra ucraina, di raccontarci com’è trascorso questo anno di violenza che sembra non conoscere la fine. Vi accorgerete che le due storie si assomigliano, per l’incertezza del futuro, la stanchezza di questi giorni e il dolore di chi pensa di non poter far nulla.
Un anno di guerra: il racconto di Varvara e Tatiana
Varvara Giorgio è nata e cresciuta a Mosca, lì ha frequentato l’Accademia di Belle Arti ed è lì che vivono la famiglia e gli amici. Poi, complice il vento canaglia dello Stretto, è venuta ad abitare in riva allo Stretto per amore. «Adesso mi trovo meglio qui, forse è una questione di abitudine. A Messina ci sono delle cose belle che non ci sono in altri posti: il sole, la natura, il mare e il cibo. Tutto il resto è da migliorare. Ma queste sono le cose importanti». Tatiana Ostakhova, invece, è nata in Ucraina e ha studiato Lingue all’Università di Kiev; «Sono venuta a Messina per turismo e mi si è presentata la possibilità di insegnare la lingua russa, era il 1990. E così sono rimasta, Messina è la mia casa».
Varvara, cosa ti stanno raccontando i tuoi amici di quello che succede a Mosca? «Con la mia famiglia abbiamo opinioni diverse quindi ho bisogno di sentire tutte le parti e lo faccio seguendo molte cose che vengono pubblicate su YouTube. Ultimamente mi sono stancata di avere tutta questa informazione; non c’è una verità, un filo di ragionamento, anche perché il presidente Putin è stato molto vago, non sono una persona che sa di politica, ma non ho molta speranza che finisca. A Mosca il clima è militare, la guerra sta influenzando la vita quotidiana, si vive con la paura del futuro, con il fatto di non capire cosa è necessario fare, come andare avanti. I miei amici viaggiavano in Europa, ma adesso è più difficile, le tratte sono cambiate, il costo dei biglietti è aumentato, ma non è solo questo. I canali sono tutti bloccati, quindi continuare a vivere a Mosca e trovare le informazioni giuste è una scelta personale. Alcuni preferiscono non dire e fare finta di niente. Molti amici hanno preferito spostarsi in Turchia».
Tatiana i suoi familiari sono in Ucraina, cosa raccontano? «Oggi è il 365esimo giorno della guerra, io vado a dormire e mi alzo leggendo le notizie, mi tengo costantemente aggiornata. I miei parenti resistono, combattono, difendono il loro Paese. I bambini vanno a scuola a settimane alterne, quando scattano gli allarmi dei bombardamenti scendono nei rifugi: questa è la vita. Sono venuti a stare qui, ma poi sono voluti tornare a casa».
Varvara, ti trovavi a Mosca quando è scoppiata la guerra? «Sì, ero a Mosca, è stata una cosa incredibile, non ci potevo credere. Su tutti i dispositivi è apparsa una notifica su quello che stava dicendo Putin. In Russia c’è ancora la forza della propaganda; quelli della mia generazione, nati negli anni ’90, siamo cresciuti in un clima più liberale, non ho il background dell’Unione Sovietica; poi ho viaggiato, ho sempre avuto il mondo aperto. Nel 2013, un anno prima della Crimea, avevo altri pensieri, l’Università, gli studi, l’arte, la musica, ero fuori dal contesto e questo mi ha influenzate».
Tatiana, invece, si trovava in Ucraina qualche giorno prima dello scoppio della guerra: «Mi trovavo in Ucraina per motivi di studio; sono partita da lì il 20 febbraio, c’era già una situazione inquietante e mia madre ha insistito affinché tornassi a Messina. Spero di tornare in una Ucraina libera, per ricostruirla. È stato un anno di grande dolore, ho ancora le immagini di un Paese bellissimo che è stato distrutto. Ho vissuto ogni giorno della guerra, in modo molto intenso e con tanta fede. Non so come finirà, ma sono molto fiduciosa. ll discorso è complesso; io non posso che ringraziare tutti i paesi che sostengono l’Ucraina in questo momento perché è una democrazia giovane che sta nascendo adesso, è un paese che ha fatto tanti progressi nel corso della storia e questo sostegno è fondamentale per noi, perché in questo momento l’Ucraina sta scrivendo una pagina della storia europea: sta combattendo per i valori democratici. C’è anche chi accusa l’Ucraina e la definisce guerrafondaia, quando l’Ucraina si sta difendendo. La guerra è iniziata nel 2014 con l’annessione della Crimea alla Russia, da lì è nato tutto. Questo stare da parte e non fare niente ha solo aggravato la situazione. La politica di forza e di prevaricazione non può vincere e sopraffare il mondo. Da 365 giorni le bombe cadono sugli ospedali, sui teatri, sulle case, portando via la vita delle persone». Varvara invece tornerà a Mosca tra poco per un breve viaggio; «Sono contenta di stare con la mia famiglia, ma non sono cosa succederà. Sono stanca di tutta questa cosa».
Ma c’è un universo solo, canta ancora Brunori, che unisce il cielo e il mare e stanotte io voglio solo respirare.
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