Studenti e studentesse di Messina sono scesi “in piazza” stamattina per ribadire il loro secco NO ai test d’ingresso per l’accesso alle università italiane. Tra striscioni e volantini, il messaggio della protesta è apparso chiaro: «Stop ai test d’ingresso. Più finanziamenti e accesso garantito a tutti gli studenti».
È successo stamattina, in concomitanza con le prove d’accesso ad alcuni Corsi di Laurea a numero programmato, svoltesi tra i poli universitari dell’Annunziata e del Papardo. Un nutrito gruppo di giovani guidati dalla “Fajdda – Unione Giovanile Indipendentista”, si è riunito nello spiazzale della sede di Ingegneria per protestare per sottolineare come, secondo loro, il numero chiuso lederebbe il diritto allo studio privilegiando, in sostanza, chi può permettersi di partecipare ai corsi di preparazione, mettendo il merito in secondo piano rispetto alle possibilità economiche.
A dar voce alle proteste di questa mattina, una studentessa, Rosa De Meo, che ha dichiarato: «Il numero chiuso è emblema di un’università sempre più elitaria che non garantisce a tutti e tutte il diritto allo studio. Un meccanismo in cui chi può sostenere le spese dei test, e dei costosissimi corsi di preparazione agli stessi, ha più probabilità di accedere a determinati corsi di laurea. Una triste realtà dove il merito di uno studente si misura in rapporto alla disponibilità di denaro; dove l’accesso ai diritti è garantito dallo status economico».
Ma oggetto della protesta è stato il sistema universitario nel complesso: «Il test d’ingresso – ha proseguito Rosa De Meo –è solo il primo di una serie di furti che il sistema universitario opera a danno degli studenti e delle loro famiglie; è solo la prima di una lunga serie di tasse attraverso cui le lunghe mani dell’università svuotano le loro tasche. Ma oltre il danno vi è anche la beffa! Perché se da una parte la governance impone tasse sempre più esose, dall’altra non è in grado di garantire i servizi minimi».
«La logica aziendale che guida le politiche di gestione dell’università pubblica – ha aggiunto – ha portato il MIUR al sistematico e progressivo de-finanziamento degli atenei del Mezzogiorno, ad una sempre più accentuata differenza fra gli atenei di serie A e gli atenei di serie B. I tagli all’istruzione, insieme all’importanza assunta gradualmente dai sistemi di autovalutazione e premialità, impediscono l’equo finanziamento di tutti gli atenei e ne vincolano la sopravvivenza a criteri meramente produttivi. A pagarne il prezzo sono le università meridionali, quelle siciliane in particolare, in preda ad un totale e programmato smantellamento a vantaggio delle università settentrionali, considerate “virtuose” in base a parametri ambigui e arbitrari».
Il tutto, scrive ancora Rosa De Meo, porterebbe sempre più giovani a cercare opportunità di studio e di lavoro altrove: « «Il numero chiuso e la demolizione progressiva delle nostre università rispondono ad una stessa logica per cui è il denaro (di una famiglia o di una regione) che garantisce il diritto allo studio. Le università con maggiori finanziamenti potranno garantire un maggior numero di posti disponibili, mentre le altre (per lo più meridionali) si svuoteranno. Queste operazioni, infatti, costringono sempre più giovani, senza servizi e prospettive, ad andare via dalla propria terra. È questa la prima fondamentale negazione del diritto allo studio per le ragazze e i ragazzi siciliani».
«Alla luce di questo quadro – conclude – crediamo che lottare per il diritto allo studio in Sicilia significhi opporsi alla desertificazione programmata del nostro territorio, significhi lottare per contrastare l’emigrazione forzata cui gli studenti e le studentesse siciliane sono soggetti».
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