Scuole in presenza o a distanza? È questo il dubbio che sta tenendo in sospeso milioni di studenti e di studentesse italiane. In Sicilia, il rientro a scuola sembrava confermato per il 10 gennaio, salvo poi venire rimandato al 13 gennaio per volere della Giunta Musumeci. Per Azione Messina, tuttavia, le risposte dei governi locali hanno soltanto «inseguito le evoluzioni dell’emergenza», senza mai «riuscire ad anticipare il problema».
In tutto questo, il sindaco Cateno De Luca ha pubblicato un’ordinanza con cui prevede di lasciare le scuole chiuse a Messina e avviare la didattica a distanza dal 13 al 24 gennaio. Cosa che, tecnicamente, non può fare perché sia la città dello Stretto che la Sicilia sono in zona gialla, e per avere autonomia su questo punto occorre che si passi all’arancione o al rosso. Ciononostante, il Primo Cittadino tiro dritto. Intanto, sul fronte regionale si attende la decisione della task force scuola – in riunione oggi –, che potrebbe posticipare anche di un paio di giorni la riapertura (rimanendo nei termini concessi dalla normativa).
Nel mezzo di questo dibattito tra scuole chiuse e scuole aperte, si inseriscono gli esponenti del partito di Carlo Calenda. «È possibile pensare che l’unica cosa da fare sia chiudere le scuole?»: si domanda Rosaria Moschella, referente scuola di Azione Messina, che ha elaborato alcune proposte proprio in virtù dell’eccesso di precauzione mostrato dalle istituzioni.
Le proposte di Azione per riaprire in sicurezza le scuole a Messina
Secondo Moschella, tra le varie opzioni a disposizione delle autorità locali ci sarebbero potute essere, in anticipo rispetto alla data del 10 gennaio, l’organizzazione di drive-in scolastici e di procedure di testing, l’acquisizione di nuovi spazi da destinare alle scuole grazie ai fondi del ministero dell’Istruzione concessi agli enti beneficiari per affitti e noleggi nel corso dell’anno scolastico 2021-22, ma anche l’installazione di sanificatori d’aria nelle aule.
«Chi è escluso dal digitale – continua la referente scuola di Azione, che denuncia la scarsa disponibilità di computer e tablet per gli studenti – per scelta o per caso fortuito, ne perde i vantaggi. Con un danno socio-economico e culturale. E poiché chi è in digital divide, secondo gli studi come quello Istat, è spesso di un ceto sociale già svantaggiato, entra in un circolo vizioso di crescente povertà ed esclusione».
«A tale proposito – conclude Moschella – mi vengono alla mente le opinioni di Pietro Calamandrei che affermava, sulla scorta del dettato costituzionale, che la scuola dovesse essere innalzata alla posizione di “organo costituzionale” di importanza vitale per la struttura democratica del Paese. Una scuola per tutti con le finalità di creare cittadini, senza distinzione alcuna, così come indicato nel principio di eguaglianza formale (articolo 3, primo comma), ma con l’intento di responsabilizzare gli individui nella coscienza di essere parte attiva nella costruzione democratica».
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