L’America – Nord e Sud – è stata travolta dal coronavirus, tra la presa di coscienza del Presidente Trump, le “pentole” di Bolsonaro e le code ai negozi di armi. Per capire meglio cosa sta succedendo fuori dall’Europa abbiamo chiesto a tre donne di raccontarci la loro pandemia e la loro America con il coronavirus.
Anche all’estero stanno adottando misure di contenimento per limitare il contagio da coronavirus e anche lì ci si affaccia in balcone per rimanere uniti e… ribellarsi. Qual è lo scenario in America durante il coronavirus?
Tre ragazze ci raccontano la loro reclusione in America ai tempi del coronavirus. Enrica vive a Washington, Barbara a Rio De Janeiro e Francesca a Portland. Cosa hanno in comune? Una passione senza fine per Messina.
Enrica – tra lo smart working e i film di Natale
Enrica De Pasquale, nata e cresciuta a Messina, pensava di rimanere a Washington DC solo sei mesi e invece è rimasta in America, col coronavirus. «Sono arrivata a Washington DC ad agosto 2012, pensavo di rimanere sei mesi e invece sono passati 7 anni e mezzo. Dal 2013 lavoro all’Organizzazione degli Stati Americani, un’organizzazione internazionale che riunisce 34 paesi del continente e sono una specialista in project management.
L’11 marzo la sincada della cittá, Muriel Bowser, ha decretato lo stato di emergenza, cominciando a prendere tutta una serie di misure restrittive tra cui la chiusura di bar e ristoranti, scuole, parchi, musei e il divieto di assembramenti di più di 50 persone. Queste misure rimarranno vigenti almeno fino al 27 aprile. C’è da dire che non abbiamo l’obbligo di rimanere in casa, ma stanno cercando di limitare il più possibile le occasioni di uscita. Personalmente, con mio marito siamo chiusi in casa dal 13 marzo e non abbiamo alcuna intenzione di mettere piede fuori casa fino a quando vedremo che sarà sicuro farlo. Secondo gli ultimi dati, solamente a Washington DC (grande piú o meno quanto Messina) ci sono 401 casi confermati. Per fortuna, i servizi di spesa a domicilio continuano a funzionare senza intoppi quindi fino a che potremo, la nostra ora d’aria sarà in balcone.
Per fortuna continuo a lavorare in smart working e devo ammettere che sto lavorando come e forse più di prima. Con i colleghi e il mio capo ci siamo organizzati abbastanza bene e ormai nel 2020 gli strumenti per lavorare a distanza ci sono. Un insegnamento che questa esperienza dovrebbe dare alle aziende e agli uffici pubblici è investire nelle tecnologie e permettere che tutti abbiano accesso a Internet e a un computer.
Per quanto riguarda la sanità, Trump ha preso una decisione che era l’unica via logica da prendere. Deve garantire che tutti – cittadini, stranieri, persino immigrati irregolari – possano accedere al test e al trattamento necessario in caso di risultare positivi. Ha capito che siamo di fronte a un problema di salute pubblica e non ci si può fermare al fatto se la persona ha o meno un’assicurazione sanitaria. Purtroppo, gli altri provvedimenti presi a livello federale sono ancora deboli . Si vede dal fatto che, negli Stati in cui è permesso, la gente continua a uscire e ad andare in spiaggia (quasi) come se nulla fosse. La responsabilità se la stanno prendendo i governatori dei singoli Stati, vedi California o New York o sindaci come nel caso di Washington DC (Washington DC non è uno Stato, ma un distretto federale). Forse ora il Presidente sta cominciando a capire la gravità della situazione, ma sembra non abbia intenzione di prendere lui direttamente delle decisioni più drastiche, preferendo sia direttamente una scelta dei singoli Stati.
Dico la verità, non mi ha sorpreso più di tanto vedere la gente in fila per fare rifornimento di armi. Mi sembra la tipica reazione dell’americano medio, che usa la pistola come la copertina di Linus. In generale, gli Stati Uniti è il paese delle contraddizioni, capace di fare gesti pieni di generosità e al tempo stesso risultare il paese dell’egoismo e dell’individualismo spietato. Mors tua, vita mea.
Per quanto riguarda momenti di intrattenimento, alcune palestre hanno organizzato lezioni su Instagram o altre piattaforme virtuali; hanno organizzato alcuni concerti dal vivo su reti sociali, ma niente di più. La cosa più strana che ho visto è che alcuni canali hanno cominciato a trasmettere film di Natale (!!!). Ammetto anche che tendo a seguire più gli eventi italiani e colombiani, siamo molto più creativi.
La cosa che mi spaventa di più è che possa succedere qualcosa alla mia famiglia ed amici e non potere fare niente. Sentirmi impotente è la cosa che mi sta spaventando di più per ora. E anche non sapere quando potrò tornare in Italia. La prima cosa che farò sarà camminare senza meta per la città e prenotare un volo per Messina!».
Barbara, tra le pentole contro Bolsonaro e un tuffo nell’Oceano
Anche Barbara Zampaglione è di Messina ma affronta la sua reclusione da coronavirus oltre l’Europa, in Sud America. Infatti, da 18 anni vive in Brasile. «Vivo a Rio De Janeiro e mi occupo di progettazione architettonica e ristrutturazioni. Qui a Rio, due settimane fa – saggiamente – hanno chiuso scuole, cinema e teatri e hanno sospeso tutte le manifestazioni e gli eventi nei quali era prevista la partecipazione di un grosso numero di persone. Gradualmente hanno chiuso gli shopping center, i negozi e le palestre e hanno “raccomandato vivamente” ai cittadini che non si recassero in spiaggia o in altri spazi pubblici quali parchi o giardini. Allo stato attuale funzionano solo i supermercati, le farmacie e bar e ristoranti che effettuano esclusivamente consegne a domicilio. Al momento lavoro molto poco, perché il cantiere è stato sospeso. Sto solo facendo piccoli lavori di disegno al computer.
Francesca, tra gli aperitivi in giardino e la voglia che finisca presto
La cosa che mi spaventa di più è la salute della mia famiglia e dei miei amici, come tutti; e il fatto che non sappiamo quando questo periodo finirà. Ma quando sarà finita andrò a bere con gli amici!»
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