Prima che tutto il Paese diventasse zona protetta, abbiamo contattato cinque messinesi di stanza a Milano per farci raccontare la “lugubre suggestione” della quarantena. Poi a casa ci siamo rimasti anche noi, ma questa è un’altra storia.
Milano – vista dall’Isola – sembrava invincibile e forte, con i suoi locali alla moda, le sue idee al passo coi tempi e la sua smodata e irrefrenabile voglia di vivere e fare. Poi è arrivato il Coronavirus che ha dato una sberla a tutti e tutto. Milano, adesso – vista da qui – somiglia di più alla nostra Isola. Fuori c’è il sole ma non si può uscire.
La domanda che ci è balenata in testa è stata quindi: ma gli iperattivi di Milano come la vivono la “reclusione”? Così, abbiamo intercettato cinque messinesi in quarantena a Milano per sapere come si è fermata la loro vita e cosa faranno una volta concluse le misure restrittive. Tra di loro c’è chi sta a Milano da 4 anni, chi da qualche mese, c’è chi lavora in smart working, chi non smette di allenarsi anche se la palestra è chiusa e chi non ha smesso di fare le cose che faceva prima della quarantena. Tutti, però, parlano di senso di comunità e responsabilità.
Il comune senso civico – la quarantena di Gaia
La prima dei cinque messinesi in quarantena è Gaia Barcellona, 33 anni di Messina, vive a Milano da 4 anni. «Vivo qui da 4 anni – non consecutivi – e lavoro per una multinazionale del settore birra. Svolgo un lavoro in parte commerciale, quindi posso occuparmi delle mie attività senza stare in ufficio, il resto lo faccio in remoto da casa. Mi sarebbe piaciuto lavorare in smart working dalla Sicilia ma per motivazioni etiche e di comune senso civico non ho mai pensato di “fuggire” veramente.
Delle giornate milanesi mi mancano i momenti di aggregazione e di condivisione che fanno da stimolo. Il movimento, la positività, la vivacità che contraddistingue la città. Adesso leggo di più, guardo più film e ascolto più musica.
Quando finiranno le misure di contenimento la prima cosa che farò sarà rivedere la mia famiglia e il mio ragazzo. Quando sento i parenti e gli amici, la percezione è che tutto sia lontano da loro, che non li tocchi veramente. Da laggiù è difficile capire cosa voglia dire vivere in una città fantasma, dove tutto alle 18 si ferma, dove tutto trasuda allarmismo: nessuno sa bene cosa fare e come comportarsi. Spero che la questione migliori prima che tutta Italia viva la stessa condizione».
Avrei potuto ammirare lo Stretto – la quarantena di Marco
Marco – nome fittizio del nostro interlocutore – ha da poco compiuto 33 anni e lavora nel capoluogo lombardo da quasi un anno, anche lui è tra i messinesi in quarantena, o quasi. «Mi sono trasferito a Milano da poco più di un anno, lavoro nella pubblica amministrazione. Il mio ufficio non ha mai chiuso. Per ragioni di prudenza e opportunità nonché in ottemperanza alle disposizioni governative, è stato vietato l’accesso al pubblico. Tutti gli appuntamenti programmati sono stati rinviati. Per quanto concerne l’attività, io ed i miei colleghi continuiamo a lavorare adottando le dovute precauzioni ed i luoghi vengono periodicamente disinfettati.
Non essere più libera di vivere la quotidianità – la quarantena di Giusy
Il puzzle di Van Gogh – la quarantena di Sergio
Abbracciare le persone – la quarantena di Ivan
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